ACRID: SOME KIND OF ISLAM KARMA

acrid

Segmenti, stralci di identità, un intreccio di coincidenze. L’opera prima di Kiarash Asadizadeh, Acrid (Gaas), Iran 2013, Wide Production nella persona dello stesso regista, è un film ispirato allo stile neorealista di Kiarostami con una narrazione circolare citazione di Panahi (Il Cerchio – Iran 2000). Applaudito all’ottava edizione del Rome Film Festival, forse per la sua affinità con il premio Oscar miglior film straniero, Una Separazione, Farhadi – Iran 2011, Acrid vuole raccontare la società iraniana, le trasformazioni che la coinvolgono e le nuove dinamiche che queste portano nell’ambito delle relazioni tra uomo e donna. Partendo da una situazione al collasso, Asadizadeh inizia la sua trama, rivelandoci, man mano che il tessuto si allarga, una realtà amara e statica.

Le sue protagoniste sono donne emancipate, in carriera, alcune divorziate, tutte autonome, che nonostante impongano la loro affermazione con orgoglio, restano impantanate in un sentimento di profonda sofferenza. Gli uomini, infedeli, bugiardi o violenti, ne sono la causa, e Asadizadeh li ritrae senza indulgenza, come pesanti fardelli, incapaci di controllare se stessi, quasi caricature, che, poco coscienti, si trascinano ai margini di questa contemporanea pagina di storia iraniana.
Il film è misurato e costruito con ponderatezza ma Asadizadeh eccede e proprio per questo perde onestà. Scontata la sua meccanica circolare, “Acrid” risulta sterile, autoreferenziale, un opera impeccabile ma priva di anima e di sgomento.
Quattro le storie narrate. Soheila, medico, che convive con l’infedeltà del marito, Jalal, in silenzioso sdegno e con grande autocontrollo; Azar, la nuova segretaria di quest’ultimo, due figli e un matrimonio in crisi, costretta a dichiararsi single per non perdere il lavoro perchè Jalal, libidinoso, assume solo donne non sposate; Simin, insegnate di chimica, amante del compagno di Azar, Koshro, reduce da un divorzio e testimone impotente delle violenze coniugali subite dalla sorella; Masha, allieva di Simin, che tradita dal fidanzato, vede i suoi sogni infranti come onde sugli scogli.

Maglie di un bracciale che si richiude su se stesso, queste quattro vicende enunciano una morale karmica che riconduce le colpe dei padri alle vite dei figli.
Asadizadeh muove dalla vita agiata di una coppia benestante di Teheran e gradualmente si allarga, oltrepassando i confini della città e quelli del benessere economico, per poi ritornare, con tono di predica, al punto di partenza. Riconosce alla gioventù più coraggio e autonomia rispetto alle altre generazioni, conferma della trasformazione in atto nella società iraniana, ma non osa dare ai suoi personaggi un autentico respiro.
Acrid è girato quasi esclusivamente in interni, con una fotografia dai colori pallidi e luce fredda, come una visione pessimista che toglie corpo all’Amore e svilisce lo spirito intraprendente dell’emancipazione femminile. Probabilmente attento alla censura, più che in linea con l’atmosfera algida, Asadizadeh sceglie uno sguardo casto, mai appassionato, semmai circospetto.

Le protagoniste sono seguite da lontano, quasi spiate, l’unico primo piano diretto in camera è quello di Masha, decisamente da provino, che vorrebbe attribuirle consapevolezza e determinazione, ma che ha poco impatto sullo spettatore. Gli altri attori, soprattutto Ehsan Amani, Jalal, e Saber Abar, Koshro, sono comunque abili a sviluppare la dimensione del film, conferendo profondità e aggiungendo un ombra di spessore. Asadizadeh, classe 1981, anche sceneggiatore, esordisce dopo una lunga serie di short con un lungometraggio strutturato e rigido ma si dimostra padrone di tecnica e concerto.. Aspettiamo, che trovi uno stile più spontaneo o quanto meno contenuti originali.

Zelia Zbogar

 

You must be logged in to post a comment Login

Leave a Reply