Esce il 10 aprile in quindici copie Piccola Patria. La pellicola, presentata all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, segna l’esordio nel ‘cinema di finzione’ di Alessandro Rossetto, affermato autore di documentari tra i quali, solo per citarne alcuni, Il fuoco di Napoli e Raul.
La presentazione che, in rassegna stampa, il regista fa di questa sua nuova esperienza è delle più promettenti: “è stato la possibilità di lavorare sulla finzione con degli attori, partendo dall’esperienza del documentario”.
Della bontà dell’impresa devono essere state convinte le quattro Film Commission – primo caso nella storia italiana – che hanno sostenuto questo progetto: quella del Veneto, del Friuli Venezia-Giulia, del Trentino e del Sud-Tirol Alto Adige. Dalle parole di Rossetto emerge anche l’estrema cura che ha avuto nel lavoro con gli attori, nel quale è partito sempre dal principio per cui “la creatività sgorga da quel momento di terrore in poi”, quando l’attore privo dell’ancora della parola scritta e di qualsiasi altro appiglio deve inventarsi che fare, deve, per l’appunto creare.
Nonostante tutto questo il film non si può dire riuscito. Nelle quasi due ore della pellicola Rossetto sembra voler affrontare tutti i temi dell’attualità italiana: i giovani, il loro contrasto con gli adulti, il lavoro, l’immigrazione, la crisi economica, la crisi della famiglia, il degrado e la monotonia della provincia, la violenza, la prostituzione vissuta non come schiavitù, ma come passatempo, il razzismo, l’omosessualità che, però, non viene completamente accettata, né dalla comunità né dalla persona. Tutti questi temi vengono investiti di un conflittualità manichea per cui c’è sempre bene e male: giovani buoni, adulti cattivi; zingari buoni, veneti (la pellicola è ambientata nella provincia veneta, per l’appunto) cattivi; donne buone, uomini cattivi; lesbica buona, etero cattiva.
Ma il problema non sarebbe neppure il manicheismo, anzi. il problema è che non si riesce a seguire il filo della pellicola.
C’è solo un personaggio, quello di Maria, di cui quanto meno seguiamo un iter, anche se è un iter che a ogni bivio si ferma e prende entrambe le direzioni. Maria si prostituisce per noia, ma forse anche per soldi, e per vendetta, per riballarsi a un mondo che intrappola lei e Renata. Renata che è la sua amica, ma forse anche la sua amata, anche se Maria sembra amare Bilal, il giovane zingaro addestratore di cavalli.
Un film fatto di scelte compromissorie che non sembrano dettate da una scelta di fondo, ma forse proprio da quelle modalità di lavorazione al film che Rossetto illustra in rassegna stampa: la sceneggiatura è stata distrutta il primo giorno di lavoro, alcuni attori la ricevevano il giorno prima, a volte neppure la ricevevano, gli attori hanno lavorato a coppie, e in un film corale questo si nota subito.
Il prescindere da una linea guida, che sia la parola scritta o una storia da narrare o un tema da affrontare, rende il film di difficile comprensione e, per quanto, ormai, le arti si affidino sempre più alla creatività dello spettatore per dare al particolare quella forma universale per cui meritano di chiamarsi Arti, in questo caso, come in molti altri, non sembra che si possa affidare allo spettatore il compito che doveva essere dell’artista.
Flaminia Chizzola
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