Giunta a metà la 73esima Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Ad aprire questa edizione Damien Chazzelle che, appena tre anni fa, presentò a Cannes quel film incredibile che fu Whiplash, approdando ora in laguna con LaLaLand, musical che ha ricevuto applausi a scena aperta da pubblico e critica, vantando nel cast attori quali Ryan Gosling e Emma Stone.
Il team di selezionatori ha composto un cartellone estremamente coraggioso, capace di dare spazio ai grandi autori con grandi produzioni, ma anche ai nuovi talenti emergenti: Denis Villeneuve regala 120 minuti di pura fantascienza con Arrival, dimostrando di essere un autore estremamente versatile capace di dare una lettura della storia che va in grande profondità attraverso la spettacolarizzazione delle immagini, del suono e della storyline stessa. Il regista canadese mette in gioco con sapienza ogni sua carta (di questo va dato merito anche allo sceneggiatore ed al montatore che evitano ogni ridondanza con astuzia) e fa quello che il cinema europeo non sa ancora fare: parlare di un argomento facendo un largo uso della metafora ricorrendo al cinema di genere, assillando il suo pubblico con una tensione al cardiopalmo, per due ore al servizio di una storia di grande impatto dove i suoi personaggi intraprendono un viaggio alla scoperta di un linguaggio che li porterà alla scoperta di loro stessi, a noi alieno.
Tom Ford ritorna alla regia dopo il bellissimo A Single Man accentuando in Nocturnal Animals la sua capacità di adattarsi al contesto: il forte cambio di registro che si distacca notevolmente dagli slow motion e montaggio fatto di insert del primo, questa volta viene sostituito da un cinema più classico ma non per questo meno bello, affascinante e mozzafiato. I soli titoli di testa sono da capogiro. Ford rinuncia all’indagine psicologica esistenziale e fenomenologica dell’essere umano per focalizzarsi sul tormento del passato, in una storia classica. I suoi personaggi si nascondono dietro loro stessi, come degli animali notturni, hanno paura di quello che può venire e preferiscono vedere il buio, chi per disperazione, che per salute e chi per totale rifiuto alla vita. Anche qui applausi a scena aperta.
La luce tra i due oceani: due famiglie ed in mezzo un’orizzonte: una bambina. Derek Cianfrance che ci aveva abituati a storie con mix di genere come nel meraviglioso The place beyond the pines, qui si concentra su un impianto classico scrivendo una sceneggiatura (che nasce dall’omonimo romanzo di M. L. Stedman) che ha ben poco da offrire alla regia, ma Cianfrance è un grande autore ed insabbia un’insipida vicenda che di certo non ha nulla di nuovo da dire con una regia estremamente solida che con l’aiuto della fotografia anamorfica di Arkapaw regala momenti di grandissimo cinema. Un film che, però, per quanto bello sia (ed a me è piaciuto parecchio) resta un mero esercizio di stile.
Il premio Oscar per La Grande Bellezza debutta sul piccolo schermo con un’opera di straordinaria grandezza. C’è tempo per tutto: dall’ironia al dramma alla crisi interiore e di fede, addirittura per un brano del grande Andrew Bird.
The Young Pope non vuole solo essere una serie televisiva, vuole sovrastare le altre.
Domink con il 3D annulla la barriera tra Nick Cave ed il suo pubblico mostrando il celebre cantautore australiano non come una star, ma come un essere umano che si confida ad un amico. E quell’amico siamo noi, i suoi fans con i quali lui condivide il suo lutto ed avanza in un viaggio verso la speranza. One More Time With Feeling è un film difficile che fa uscire gli spettatori distrutti dalla sala, ma consci di aver vissuto un esperienza cinematografica senza precedenti. Da lacrime “I Need You”.
Bill Morrison si serve di Alex Somers, compagno di vita e di lavoro di Jónsi, voce dei Sigur Rós, per accompagnare musicalmente due ore di immagini di repertorio che ricostruiscono la storia della città di Dawson, in Canada, con Dawson City: Frozen Time. Il film di Morrison è un inno al cinema, un atto d’amore, ed emoziona in maniera singolare per due ore.
Infine, Ulrich Seidl ritorna con Safari documentario che segue un gruppo di tedeschi impegnati nella caccia nella savana. Ne fuoriesce un racconto cinico e pessimista del nuovo neo-nazismo, in cui l’uomo viene configurato come un essere arrogante allo scuro del futuro o ogni forma di cambiamento, accusando lo spettatore di questo che altro non fa che restare fermo a guardare mentre i cacciatori scuoiano una giraffa.
Alessandro Bertoncini
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