Çapulcu, Voices from Gezi: quando tutto tace e niente è in ordine

Un documentario collettivo sul movimento Occupy Gezi e sulle proteste che lo hanno accompagnato. La nostra intervista a uno dei registi, Claudio Casazza

“.. Le mie foglie sono i miei occhi, e vedo con meraviglia e ti guardo con centomila occhi, Istanbul – Le mie foglie battono,battono come centomila cuori – Io sono un albero di noce del parco Gulhane – ma né la polizia né tu lo sapete.”

Questi versi, del poeta turco Nazim Hikmetsono stati affissi nel maggio del 2013 su un albero di Gezi Park, a Istanbul, mentre attorno infiammava la protesta. La miccia: poche decine di cittadini che hanno impedito alle ruspe la demolizione, prevista dal governo, del piccolo parco. Una manifestazione pacifica trasformata dalla dura reazione delle autorità in un movimento di indignazione collettivo e anti-Erdoğan (l’ex Presidente del Consiglio e l’attuale Capo di Stato turco). Un evento unico nella storia del Paese che ha portato nelle strade migliaia di persone nonostante la violenta repressione della polizia.

Dal 28 maggio alla seconda settimana di giugno sono rimasti feriti più di 8.000 manifestanti, sono stati arrestati avvocati e giornalisti, sparati lacrimogeni, pallottole di gomma e cannoni ad acqua. Un abuso di potere sul quale i media turchi, ma soprattutto quelli europei, hanno taciuto. E di fronte a questo silenzio che fare. Benedetta ArgentieriCarlo Prevosti, Claudio CasazzaDuccio Servi Stefano Zoja hanno dato la loro risposta con Çapulcu, Voices from Gezi. Un racconto in presa diretta delle proteste, in parte redatto sul campo e in parte ricostruito attraverso le testimonianze di chi le ha animate. Abbiamo incontrato uno dei registi, Claudio Casazza.

Da dove siete partiti?
C.C.
 “Tutto e iniziato davanti a una birra. Io e Benedetta ci siamo chiesti “Perché succede questa cosa? Perché nessuno ne parla?” Così nel giro di due settimane abbiamo coinvolto Duccio, il fonico, e poi Stefano, preso l’aereo e arrivati a Istanbul. Non avevamo una tesi né un’idea già formata. Volevamo scoprire cosa stava accadendo e darne notizia.”

Avevate dei contatti sul posto?
C.C. 
“Pochi. Benedetta era riuscita a organizzare 3 interviste. Un giornalista, un operatore di Amnesty e un’attivista femminista. Attraverso i loro interventi abbiamo creato una sorta di percorso narrativo e chiarito il contesto sociale e politico alla base degli eventi. Le altre testimonianze sono arrivate spontanee, alcune suggerite altre raccolte in diretta. Direi le più vivide e sorprendenti. Raccontano i momenti di pericolo, le motivazioni personali, l’azione concreta del singolo nella grandezza della protesta.”

Che aria tirava a Istanbul?
C.C. “Non da guerra civile. Assolutamente. Ti parlo di fine giugno 2013. Piazza Taksim era ancora il luogo di assemblee e di cortei, ma il resto della città era tornato alla quotidianità. Nei 10 giorni di riprese, oltre al gay-pride e ai presidi del movimento femminista, abbiamo partecipato alla manifestazione per la prima vittima. Ci sono stati dei momenti di tensione, compresa una carica della polizia.”

Come avete girato? E montato?
C.C. “Il meno visibile possibile. Avevamo 4 digitali, una palmare, una bridge, una fotocamera e una go-pro. A parte l’attrezzatura audio. All’inizio pensavamo di impostare un lavoro giornalistico e mandare dei servizi ai giornali. Poi, man mano che il montaggio proseguiva ha preso corpo l’idea del film. Senza grandi ambizioni cinematografiche, ma più strutturato del classico reportage. Invece il montaggio è in Final Cut.”

Il film è diviso in capitoli. Perché questa scelta formale?
C.C. “Ne abbiamo molto discusso. Çapulcu, Voices from Gezi segue l’ordine cronologico degli eventi e ha uno scopo informativo. I capitoli potevano esserci o meno, ma di fatto erano già insiti nella narrazione. Sono stati un pretesto per valorizzare alcune belle immagini della città [ride].”

È stata dura mettere d’accordo 5 teste per 5 registi?
C.C. “Difficile, non impossibile. Soprattutto è stata una risorsa in fase di post produzione, siamo riusciti a “fare tutto in casa”.”

A un anno dalle proteste cosa è rimasto di Occupy Gezi?
C.C. “Abbiamo posto la stessa domanda a Marta Ottaviani (corrispondente dalla Turchia per La Stampa Avvenire) che ha risposto: «Vorrei trovare parole gentili, ma adesso non c’è più niente». Il movimento è andato a scemare, si è riacceso solo lo scorso 29 maggio per il suo anniversario. La repressione invece è cresciuta. Tweetter è ancora bloccato, almeno 59 giornalisti hanno perso il lavoro o reso dimissioni coatte (secondo il TGA, il sindacato turco dell’ordine, sono più di 1.000) e molti sono stati indagati. Sono in atto procedimenti penali anche contro i medici e gli avvocati che hanno aiutato i manifestanti. È vero che Occupy Gezi non era un fronte omogeneo e forse per questo non ha portato alla nascita di un’identità politica, ma quest’estate Erdoğan è stato eletto presidente con il 51% dei voti e si avvia a consolidare ulteriormente il suo potere.”

Çapulcu, Voices from Gezi è stato presentato in contemporanea a Sguardi Altrove, Italia, e al Thessaloniki Documentary FF, Grecia, dove ha vinto il premio Human Rights Award. Il film ha ricevuto il supporto di Amnesty International Italia e ha partecipato ha diversi altri festival nazionali e internazionali.

Mercoledì 19 novembre alle ore 22.00 sarà in programmazione al cinema Beltrade di Milano per la rassegna Piazze: Sempre Ribelli preceduto da Zanj Revolution di Tariq Teguia, ore 20.30.

Zelia Zbogar

 

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