La vita e l’arte di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) verranno presto celebrate sul grande schermo dalla pellicola “Caravaggio. L’anima e il sangue”, diretta da Jesus Garces Lambert e prodotta da Sky. Il film racconta la vita del grande maestro italiano tramite i suoi numerosi capolavori, ricerche d’archivio, e interviste a storici dell’arte (tra cui Mina Gregori, a capo della Fondazione Roberto Longhi, e Claudio Strinati, consulente scientifico del film).
La pellicola è tra le prime in Italia ad essere stata girata in risoluzione 8K (7680×4320 pixels), con lavorazione in CGI (Computer Generated Imagery) e un innovativo trattamento di post produzione della luce. La possibilità di gestire le fonti d’illuminazione delle immagini generate digitalmente ha consentito di evidenziare le opere del Caravaggio attraverso punti di vista personalizzati (una vera e propria “regia delle luci”), mentre l’alta risoluzione ha permesso di mostrare allo spettatore dei dettagli pittorici altrimenti non visibili ad occhio nudo.
Il film si caratterizza per un tentativo di analisi degli stati d’animo attraversati da Caravaggio in diversi momenti della sua vita, e comunicati attraverso una serie di riprese in cui un “moderno Caravaggio” si muove all’interno di quella che sembra una fabbrica abbandonata, ed esprime i propri combattimenti interiori attraverso monologhi e azioni.
Questa “versione moderna di Caravaggio” esprime il suo “io” attraverso delle brevi “performances artistiche”. In quella d’apertura ad esempio, simboleggiante la perdita della libertà, l’attore si fascia lentamente il volto con della pellicola trasparente; in quella di chiusura, evocativa della “scelta di seguire la luce abbandonando l’oscurità”, lo spettatore assiste invece all’equivalente di un rito di purificazione.
Queste brevi performances tuttavia non raggiungono pienamente il loro obiettivo. Lo storico dell’arte Antonio Paolucci definiva l’analogia, da un punto di vista figurativo, come la “trasmissione dell’essenza di un messaggio antico attraverso l’adeguamento in forme moderne delle persone e delle situazioni”. La scelta di adeguamento operata dal film, effettuata attraverso queste sequenze in cui lo spettatore dovrebbe essere aiutato a riflettere sugli stati d’animo di Caravaggio perché questi viene “trasformato” in un uomo di oggi, si rivela poco convincente. I quadri di Caravaggio sono di per sé assolutamente esaustivi nel trasmettere emozioni e stati d’animo; la scelta di sostituire una possibile analisi più approfondita dei quadri a delle “performances artistiche” appare dunque discutibile.
La pellicola celebra le eccelse capacità tecniche di Caravaggio e il suo magistrale utilizzo scenografico della luce (esaltato dalle tecnologie adoperate nel film), nonché la capacità d’introspezione di un uomo che nei propri dipinti “vede se stesso e i suoi fallimenti” (per citare uno dei monologhi del film, affidati alla voce di Manuel Agnelli); tuttavia, non evidenzia come la pittura di Caravaggio parli in realtà di ogni uomo. Il grado di realismo presente nelle sue opere (in particolare in quelle destinate ad essere esposte pubblicamente) non è finalizzato all’ostentazione della sua straordinaria abilità tecnica, ma è volto a suscitare l’interesse del fedele (dal latino inter-esse, essere dentro), ovvero ad aiutarlo a sentirsi parte del quadro (ovvero, del progetto divino). Nel film viene mostrato, tra i tanti capolavori, “Il martirio di San Matteo”(1599-1600), in cui Caravaggio rappresenta se stesso, in fuga, sullo sfondo. Secondo la voce narrante del film Caravaggio scappa perché inorridito dalla scena che ha appena dipinto, in cui l’apostolo Matteo viene ucciso a tradimento. Ma chi conosce Caravaggio sa che quel quadro rappresenta molto di più: la sua scelta. Matteo sta celebrando il battesimo di alcuni Cristiani neo convertiti, tra cui lo stesso Caravaggio (lo deduciamo dal fatto che anche lui è seminudo, come i battezzandi). Ma durante la celebrazione si fa avanti il traditore, incaricato di uccidere il futuro santo. A questo punto Caravaggio ci presenta 2 possibili scelte: rimanere fedeli alla Verità davanti al pericolo, oppure fuggire. Egli ammette di aver optato per la seconda possibilità. Il suo autoritratto, quello di un uomo in fuga, viene paragonato dallo storico Graham-Dixon ad un mea culpa: Caravaggio “rimane non battezzato, e quindi fuori dalla cerchia dei beati. È un uomo che scappa, fuori dalla chiesa e in strada”. Caravaggio riconosce se stesso come peccatore in fuga; non rappresenta semplicemente un fatto storico, ma chiede di prendervi parte. La sua opera spinge lo spettatore, oggi come 400 anni fa, a riflettere su quanto possa essere difficile rimanere fedeli alla Verità, e scegliere di percorrere la strada più difficile.
Caravaggio è consapevole di essere un peccatore, e forse proprio questa sua consapevolezza lo rende un artista dalla sensibilità straordinaria. Ne “La Madonna di Loreto” (1604) egli dipinge in ginocchio di fronte alla Madonna e Gesù bambino due pellegrini dai panni logori e i piedi sporchi. La Santa Vergine sembra aver ben poco di trascendentale, se non fosse per l’aureola che le cinge il capo. È una donna, una madre, che accoglie le suppliche delle due umili figure che ha dinanzi, e che hanno compiuto un lungo viaggio per arrivare al suo cospetto. Nelle opere di Caravaggio il divino torna a manifestarsi con semplicità nella storia dell’uomo, scegliendo come interlocutori non potenti religiosi o nobili facoltosi, ma la gente comune, primo vero destinatario del messaggio cristiano.
Michelangelo Merisi, parlandoci di se stesso, parla al peccatore presente in ogni uomo. La sua arte può essere compresa senza bisogno di intermediazioni forzate (quali le performances video presenti nel film Sky), perché il suo è un linguaggio universale, comprensibile all’uomo contemporaneo come a quello vissuto nel Seicento.
Dentro ogni uomo è in atto un combattimento ma, a proposito di Caravaggio, Marco Bona Castellotti ha riscontrato un vero e proprio paradosso: Michelangelo Merisi era un uomo che non esitava ad ammettere che i suoi peccati “erano tutti mortali”, ma che ha speso il proprio straordinario talento con l’unico fine di testimoniare la Bellezza. Una testimonianza diretta e potente, universale ed eterna, prodotta dalla sensibilità di uno dei più grandi protagonisti della storia dell’arte di tutti i tempi.
“Caravaggio. L’anima e il sangue”, uscirà nei cinema italiani esclusivamente il 19, 20 e 21 febbraio. Per conoscere le sale aderenti si rimanda al sito www.nexodigital.it.
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