C’era una volta Sergio Leone: la Trilogia del Dollaro torna al cinema

Dollari, brutti, buoni e cattivi. Il western all’italiana restaurato dalla Cineteca di Bologna in sala dal 19 Giugno

Sto facendo un filmetto in fretta e furia per pagare i debiti del “Vicario (spettacolo teatrale che diede scandalo in un teatrino off di Roma e che costò una condanna all’attore), figuratevi è un western italiano, lo faccio per un pugno di dollari. Non nuocerà certo alla mia carriera. Chi volete che vada a vederlo?

Un profeta Gian Maria Volontè, non c’è che dire. L’attore confidò con queste parole agli amici la sua partecipazione a “Per Un Pugno di Dollari” (in origine il titolo era “Il Magnifico Straniero”). Il resto è leggenda…

A 50 anni di distanza dall’uscita del capostipite dello spaghetti-western, la Trilogia del Dollaro rivive nelle sale italiane in versione completamente restaurata. Merito del progetto “Il Cinema Ritrovato al Cinema” promosso dalla Cineteca di Bologna e condiviso dal circuito The Space. “Per un Pugno di Dollari” tornerà in sala dal 19 Giugno. Il 3 Luglio sarà la volta di “Per Qualche Dollaro in Più” e infine il 17 Luglio toccherà a “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo”.

Un omaggio doveroso a un maestro scomparso troppo presto, celebrato all’ultimo Festival di Cannes come è giusto che sia.

Nel 1964 Sergio Leone riscrive il dna del genere western, demistificando i miti hollywoodiani e aprendo la via italiana a un cinema nostrano stagnante e in crisi. Lo fa attraverso uno stile personalissimo, iperrealista e violento, guascone e cinico, quest’ultimi tratti distintivi di una romanità che diede i natali al regista.

per_un_pugno_di_dollariLeone confeziona una trilogia non voluta nelle intenzioni. “Per un Pugno di Dollari” nasce come scommessa, “Per Qualche Dollaro in Più” come conferma (che nel cinema non è mai scontata a priori) e “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” come consacrazione. Ma i tre film presentano trait d’union iconici come il poncho e il sigaro di Eastwood e la colonna sonora del grande Ennio Morricone.

Nell’arco di tre film, girati a tempo di record tra il 1964 e il 66, il regista romano impone il “suo” western a tutto il mondo, persino alla Hollywood de “I Magnifici Sette” (che stracciò al box office). Picaresco, nichilista e iconico. Tratti indelebili dello stile leoniano, condito da massime come “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto” che tradiscono la vocazione maniacale e iperrealista del regista, capace di porre il dettaglio sulle diverse armi del tempo mentre a Hollywood “bastava che qualcuno sparasse e l’altro cadesse per avere una morte in campo medio o lungo”.

Leone e l’attenzione ai dettagli, come testimoniano le trovate con la macchina da presa: l’inquadratura dal basso degli stivali, il dettaglio sulla mano in procinto di sparare, il primissimo piano nel duello. Tutti stratagemmi volti a cancellare il western retorico e verboso americano e far largo, a suon di spallate, allo spaghetti western italiano, infarcito di pallottole, cadaveri e umorismo.

Al regista il merito di aver scommesso su un attore giovane e semisconosciuto che risponde al nome di Clint Eastwood, visto che Henry Fonda declinò. E poi la scelta di fare dei bounty killers la figura chiave dei suoi film, mentre il cinema americano per questioni puramente morali li aveva snobbati perché considerati troppo negativi. Il sottoscritto ha un amore sconfinato per l’ultimo capitolo della Trilogia del Dollaro . Una caccia al tesoro durante la Guerra di Secessione, in cui si passa dalle risate al dramma con una facilità disarmante. Tre sciacalli che inseguono un bottino sperduto in un cimitero e che incrociano i loro affari personali con la grande Storia: la guerra, i ragazzi mandati a morire nello scontro Nord vs Sud e i campi di prigionia fanno sembrare quasi umani i cacciatori di taglie col manifesto “Vivo o Morto” sempre in mano. E poi ci sono gli spari amplificati, le urla strazianti, il “triello” finale (studiato all’Università del Cinema di Los Angeles fotogramma per fotogramma come esempio di montaggio) e un cast incredibile che oltre ad Eastwood comprende Eli Wallach (vero mattatore), Lee Van Cleef e comprimari di lusso come Aldo Giuffrè, Mario Brega e Luigi Pistilli.

Tra i mille motivi per cogliere al volo l’occasione di rivedere al cinema i capolavori di Sergio Leone ci sono gli aneddoti su come è nato il mito: Eastwood segnalato da Claudia Sartori dell’agenzia William Morris che lo aveva visto nella serie tv (un po’ la moda di oggi in fondo) “Rawhide” della Cbs, Lee Van Cleef ripescato dopo esser finito a fare il pittore e che per poco non sviene alla notizia di essere il prescelto co-protagonista e la chicca con Leone protagonista: costretto, causa ristrette finanze, a raschiare i fondi di magazzino della “Western Costume” di Hollywood per gli abiti di scena. Gli stessi abiti il cui affitto schizzò alle stelle dopo il trionfo e che possiamo ammirare in “Butch Cassidy”.

Se tutti questi motivi non dovessero bastare osservate la prima sequenza de “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” e i titoli fumettistici nella presentazione dei tre protagonisti (con tanto di schitarrata). Non vi viene in mente nulla? Non so… un colonnello delle SS in una fattoria francese ad esempio. E se dicessi “Pulp”?

Emanuele Zambon

 

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