Le meraviglie (di Alice Rohrwacher, con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Monica Bellucci, durata 111‘, Italia 2014)
La pellicola scritta e diretta dalla trentenne Alice Rohrwacher, che ha vinto il Grand Prix all’ultimo Festival di Cannes e verrà ora distribuita in Francia, Grecia, America Latina, Taiwan e in molti altri Paesi, racconta la storia di una famiglia di apicoltori che vive come una piccola tribù autosufficiente nelle campagne umbre e negli ultimi giorni d’estate è costretta, per sopravvivere, ad aprirsi al mondo esterno e uscire dal paese delle meraviglie nel quale si è arroccata fino a quel momento.
A capo di questa famiglia-tribù c’è una coppia insolita: un padre-bambino, Wolfgang, e una bambina-adulta, Gelsomina, la primogenita dodicenne delle quattro figlie di Wolfgang e Angelica. Wolfgang è un irriducibile idealista che ha diviso il mondo in buoni – la famiglia – e cattivi – tutti gli altri – e che non è disposto a scendere a patti con coloro che disprezza neppure quando si tratta di salvare le uniche cose in cui crede e a cui tiene: la famiglia e la terra. Gelsomina è una bambina che sta diventando adolescente senza aver conosciuto l’infanzia, e mentre il padre continua a vivere in un mondo dove i sogni devono essere realizzati anche a scapito della realtà, Gelsomina si fa carico della realtà in tutte le sue sfaccettature: bada alla famiglia, al lavoro e cerca di trovare i soldi per salvare il casale, anche se questo le costerà la cosa per lei più preziosa: il rapporto con il padre.
Le meraviglie cui allude il titolo nel film sono molteplici. In primis ci sono le sirene del mondo esterno che chiamano Gelsomina, che la spingono ad abbandonare la nave delle responsabilità per tuffarsi nelle acque dell’adolescenza. Nell’estate che Rohrwacher ci racconta nella tranquillità bucolica della famiglia di Wolfgang e Gelsomina irrompe da una parte l’illusione del successo promessa dalla televisione e dall’altra la speranza dell’amore adombrata dall’arrivo nel casale di un ragazzino che non parla mai, Martin.
Il mondo esterno si offre a Gelsomina come un’ancora di salvezza che, però, rischia al tempo stesso di trascinarla a fondo. La televisione non è un regno delle meraviglie, ma un luogo dove le meraviglie vengono spogliate e degradate. L’amore può ridursi a un semplice rapporto fisico che non lascia niente dietro di sé, se non la delusione o la coscienza che qualcosa si è perduto per sempre: Questo Wolfgang lo sa e lo teme, e perciò cerca in tutti i modi di impedire a Gelsomina di entrare in contatto con il mondo esterno, qualunque forma esso assuma. Ma la meraviglia della vita che vuole vivere secondo i propri ritmi, dell’adolescenza che vuole finalmente sbocciare, la meraviglia che Gelsomina rappresenta vincerà su tutto, anche sui sogni paterni di un mondo nel quale bene e male vivono distinti e distanti.
La forza della pellicola, di là dall’autenticità vivida delle scene e dalla poeticità di molte immagini, sta nel rincorrersi come ombre cinesi delle meraviglie della vita: la famiglia, la natura, l’infanzia, l’idealismo, la concretezza, la speranza, l’illusione, i sogni, il desiderio, il bisogno, il disincanto, il silenzio, le grida, lagioia, il vuoto. Rohrwacher mischia tutte queste meraviglie e ce le mostra attraverso gli occhi scuri, ma limpidi di una bambina che, al contrario del padre, accetta le meraviglie per quello che sono: sorche, bagnate, ronzanti, mute, impacciate, ciccione, fallibili, a volte perfino finte, ma sono meraviglie perché si possono vivere, toccare, attraversare.
Le Meraviglie di Rohrwacher iniziano con un coro di cicale e si chiudono nel silenzio, ma non perché le meraviglie siano finite, ma solo perché è finita l’estate, è finito il tempo della famiglia-tribù separata dal mondo esterno, è finito il tempo in cui c’è bisogno del meraviglioso panorama della campagna umbra per credere che nel mondo ci siano cose che destino ancora meraviglia.
Flaminia Chizzola
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