E’ in sala l’opera prima di Laura Bispuri

Venere giurata, l’esordio alla regia di Laura Bispuri arriva nelle sale cinematografiche, ma, nonostante l’interpretazione di Alba Rohrwacher, non ci convince

Vietato prendersi sul serio. Io sono personalmente stufa di critici, intellettuali, di quella gente che leggi e sembra che dio in persona gli abbia rivelato la verità. Da parte mia faccio un bel passo indietro-inavanti-infondo-infretta in Annie and I, nella stramitica scena del cinema.

E ora, senza parlare della fotografia – che ormai è la prima cosa che tutti commentano di un film, e io mi chiedo: perché? – passiamo al primo lungometraggio di Laura Bispuni. Prima cosa da dire: il film è durato abbastanza perché quando uscissi dalla sala avesse smesso di piovere, e questo lo metterei come il maggior merito della pellicola. Non voglio distruggerla. Ho visto di peggio, molto di peggio. Questo non dice niente, non si capisce dove vada a parare. È uno di quei film che esci dalla sala identico a come sei entrato, anzi, con un paio di ore in meno nel portagioie della vita. Il film Vergine giurata parla di una giovane di un villaggio albanese che in virtù di un giuramento fatto di fronte alla comunità assume un’identità maschile e giura, per l’appunto, di rimanere per sempre vergine. Morti entrambi i genitori la nostra vergine col suo camicione da uomo e i suoi jeansacci da uomo e i suoi capellacci corti da uomo molla il paesino albanese e raggiunge la sorella per dirle che la mamma se ne è ita e… E nella città – una città italiana non si sa quale, una qualsiasi – la nostra vergine, una sorta di Brandon Teena, viene a contatto col mondo e rimette in discussione o riapre il discorso sulla sua identità sessuale, sul sesso e… insomma, l’happy ending della scoperta della vera lei e compagnia bella. Ora, in ordine sparso i miei mah: primo, il film è liberamente ispirato a un romanzo di un’autrice albanese scritto in italiano. Ora, se il romanzo è scritto in italiano e non in albanese perché la regista ci fa parlare la vergine sempre in albanese, anche quando è in Italia e l’italiano lo capisce benissimo? Non c’è nessun effetto Babel. Non c’è un incomprensione tra lingue/linguaggi. C’è un’attrice italiana – la fantastica Alba Rohrwacher – che parla in albanese e un’attrice albanese – la sorella della vergina che si è trasferita in una città italiana – che parla in italiano. Cosa aggiunge? Straniamento? Non direi. Comprendo di più la posizione del diverso che si trova in un contesto dove parlano una lingua differente dalla sua? Non direi. Mah, a meno che non ci fossero dei fondi destinati ai film bilingue non vedo in questa scelta di bilinguismo alcun senso. Cioè, alcun senso per lo spettatore medio-stupido che io rappresento. Quello spettatore che va al cinema e si aspetta che sia il film a dover dimostrare che ne è valsa la pena spender quei soldi e quel tempo, non il contrario. Non si può far ricadere sul povero spettatore cinematografico la mentalità di quello teatrale, che se uno spettacolo non gli piace dice: son io che non l’ho capito. Eh, no. il cinema è un’arte finora molto onesta. Sei tu che devi fare una cosa bella, non puoi chiedere al mio sguardo di trovare il bello in tutto ciò che vedo. Troppo facile. Secondo punto. La nostra vergine ha una questione aperta con la sua sessualità, con il suo corpo impelagato in abiti maschili.

Ora, anche se la Rohrwacher non è neanche lontanamente credibile come uomo – difetto non imputabile alla nostra Albetta – il suo fatal flaw, la sua frita aperta, riguarda il suo corpo sessuato. Ora, possibile che per mettere in risalto che questa c’ha ‘sto problema col corpo a uno non gli viene un’idea migliore di piazzare quel corpo in un contesto dove i corpi si vedono nella loro “verità sessuata”, ossia una piscina? Mah. Poi c’è un’insistenza sul fatto che la nostra Albetta non si può spogliare e deve starsene lì in piscina con la sua magliettaccia bianca, mentre tutti gli altri se ne possono stare in acqua coi loro corpi mezzi nudi, a prescindere dalla bellezza di quei corpi, c’è il ciccione che se ne sta bello tranquillo, quella che ha duemilaseicento tatuaggi, ci mancava quello cui gli mancava una gamba e poi la regista ci aveva sottolineato in maniera davvero poco fine che tutti hanno diritto di esistere tranne la nostra. Mah. Sì, è la banalità con cui viene trattato il tema di una ricerca di un’identità. Che è un tema classico e sconfinato che mi disturba tanto. Mi dà fastidio che un regista prenda quella che sembra la prima idea che gli viene in mente e ci costruisca sopra un film, mi dà fastidio che un film così anodino possa vantare un’interprete eccezionale come Alba Rohrwacher, che viene appiattita anche lei da questa pellicola. Mi dà fastidio vedere che un film che non lascia nulla sia riuscito a ottenere numerosi supporti tra cui quello del Ministero per i Beni e le Attività culturali e quello, che per me rimane davvero un mistero, della Regione Lazio. La città in cui la nostra vergine si trasferisce non sembra nel Lazio – non si direbbe da come parlano le persone del luogo – e comunque non c’è nulla che lasci intravedere o intendere qualcosa del Lazio. Ora, se la mia regione è così generosa da supportare progetti che non la riguardano in virtù di un semplice e legittimo amore per l’arte ben venga, anche se visti i famosi conti in rosso supportare un film che non c’azzecca niente con il Lazio non sembra una cosa tanto coerente con i tempi che corrono, ma la coerenza in fondo non pertiene all’essere più incoerente del pianeta ch è l’uomo. per farla breve, quello che mi dà fastidio è vedere che un film mediocre – a parer mio perché Il Fatto e il Sole ne sono entusiasti – non abbia avuto problemi a essere prodotto, venga anche distribuito – a Roma è presente in 4 sale, di cui una, la sala radical chic per eccellenza – mentre altri film davvero belli, mi viene sempre da pensare a Le cose belle per essere prodotti e per essere distribuiti ne abbiano passate di tutte. E Le cose belle sì che è un film che ti lascia qualcosa, che esci dalla sala e il bagaglio della vita quasi non ti si chiude per tutto quello che c’è entrato dentro in quelle due ore. Sì, mi dà fastidio l’Italia banale che conosce la gente giusta e così arriva, sempre e comunque, e anche se forse nn avrà una seconda occasione quell’unica che ha avuto l’ha tolta a qualcuno che la meritava più di lei. mi dà fastidio l’Italia che può fare cose brutte tanto conosce la gente giusta che ne parla sempre bene. Ma il film è stato selezionato al festival di Berlino. E allora? Non giuriamo sulla vergini. Scommettiamo sulle cose belle. E speriamo che la bellezza sia più forte della banalità, anche se la banalità è più numerosa.

Flaminia Chizzola

 

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