È tempo per l’Oscar? Forse, ma la Boyhood va avanti

Come Morten Tyldum e James Marsh, anche Richard Linklater decide di mettere al centro del suo film il tempo, rappresentandolo come Eraclito: il tempo è un bambino, e scorre!

Quando si esce dalla sala cinematografica dopo aver visto Boyhood ti viene facile la battuta “Ho come l’impressione di essere invecchiato…
Il film che Richard Linklater ha deciso di portare ai prossimi Oscar è sicuramente il più vero di tutti, perché rende giustizia a un elemento che è protagonista in altri due film candidati (The Imitation Game e La teoria del tutto): il tempo.
Ma prima d’ora si era visto, nella storia del cinema, un film del genere.
12 anni di riprese in modo da poter raccontare al meglio la storia di due bambini.
Perché sono loro i veri protagonisti della storia, e non per togliere qualcosa ad Ethan Hawke e Patricia Arquette, i nomi più conosciuti dagli appassionati di cinema presenti in questo film, ma per il fatto che riescono alla perfezione, grazie alla loro giovane età, a descrivere al meglio ciò che il regista vuole trasmettere.
Anche gli adulti possono riuscirci, ma deve passare più tempo.
Per fare un seguito de “La strana coppia”, Walter Matthau e Jack Lemmon hanno aspettato esattamente 30 anni. E così nel 1998 erano diventati due adorabili vecchietti brontoloni, con tante rughe e non più agili come nel 1968.
12 anni, invece, non sono sufficienti per far vedere a due persone adulte, ma ancora giovani come Hawke e Aequette, il segno del tempo che scorre. O meglio, un tale effetto si può ottenere semplicemente cambiando pettinatura e un po’ di trucco, senza dover aspettare 4380 giorni.
Discorso diverso per Ellar Coltrane e Lorelei Linklater. Quando hanno cominciato, nel 2002, avevano entrambi 8 anni. E grazie a Boyhood li abbiamo visti crescere non metaforicamente, ma proprio letteralmente.
Qualche ripresa ogni anno per raccontare la loro storia dalle elementari al college, un periodo di tempo non semplice per via della difficile situazione familiare ed economica. La vita di molti, raccontata senza esagerazioni hollywoodiane, nel Texas che tutti conosciamo, quello ancora molto legato alla Confederazione Sudista, e al binomio contraddittorio “Armi e Chiesa”, proprio per non uscire da quel senso di verità che il film trasmette dall’inizio alla fine.
E anche nella semplicità si vedono delle cose interessanti nella sceneggiatura, come il fatto che la trama si è evoluta nel corso del tempo, poiché il regista non poteva sapere nel 2002 delle elezioni di Obama sei anni dopo.
E se Boyhood piacerà a molti, soprattutto ai giovani, è perché molti avranno rivisto in Mason Jr. se stessi, in Samantha la propria sorellina, e in Mason Sr. e Olivia i propri genitori separati, almeno nei casi in cui si ha avuto una famiglia così. E perché no, sperare di fare un giorno un film del genere, con i propri filmini personali, che grazie alla multimedialità sono sempre più frequenti. Perciò, non smettete di sognare, perché se puoi sognarlo…puoi farlo!

Valerio Brandi

 

You must be logged in to post a comment Login