Eau argentée – Syria autoportrait, Francia 2014, è il documentario di Ossama Mohammed e Wiam Simav Bedirxan sulla guerra in Syria e sull’assedio di Homs, città simbolo della resistenza al regime di Bashar al Assad, il dittatore che ha portato il paese sull’orlo dell’abisso. Presentato fuori concorso al recente Festival del Cinema di Cannes, è stato l’unico film in lingua araba della kermesse. Il film racconta la nascita e l’evolversi del conflitto siriano attraverso spezzoni di video amatoriali rielaborati e montati da Mohammed, per poi trasformarsi nel diario della giovane Bedirxan, prigioniera con la sua videocamera nella città di Homs. Il regista dichiara: “Simav Bedirxan è la mia Syria, una metafora: giovane, coraggiosa, laica e indipendente” e il titolo del doc, Eau argentée, è la traduzione dal curdo del suo nome.
Mohammed ripercorre l’escalation di violenza degli ultimi tre anni, e le atrocità commesse dall’esercito siriano verso i siriani stessi: spari contro i manifestanti, torture ed esecuzioni, bombardamenti delle città, uso di armi chimiche. Uno shock visivo ma non solo questo, perchè la comunicazione potrebbe interrompersi nonostante la durezza del contenuto, oggi che i media e la TV ci hanno abituati al distacco e all’indifferenza. Così Mohammed cambia il canale di trasmissione, completa le immagini di parole e di musica, decostruisce le sequenze e utilizza il montaggio e l’audio come ricerca espressiva.
Eau argentée attinge alla pluralità di fonti della rete, dove i frammenti video vagano come schegge dopo un’espolsione, tutto il materiale raccolto è filmato con telefoni cellulari, la qualità è bassa e le riprese mosse. Il regista dichiara: “La camera si muove perché chi la tiene in mano si muove, mentre urla: ‘Libertà!’” Sono 1.001 immagini di 1.001 siriani, precisa Mohammed, un’intera nazione, un’unico sguardo. (Viene in mente Rosselini e l’idea di un cinema della molteplicità e della partecipazione.)
Del regista la voce narrante, che dall’esilio parigino, iniziato nel maggio 2011 quando è scappato dalla Syria, racconta per didascalie, figure vivide come i versi di un poema, il dolore e l’indignazione di tutto il suo popolo. Un monologo che diventa dialogo quando nella città di Homs trova Bedirxan, co-direttrice del film. La si sente battere sulla tastiera del pc e le sue parole arrivano come i messaggi in chat: uno dopo l’altro e con lo stesso effetto sonoro. Un’insistenza e un’mmediatezza che fanno male se pensiamo alla distanza dei nostri media dall’urgenza di questo conflitto, al silenzio della comunità internazionale. Havalo, in curdo amico, è il termine con cui Bedirxan chiama Mohammed, e con lui tutti noi. Le sue immagini documentano i giorni rubati alla guerra, le notti insonni, i gesti di Omar, un bambino che sorride e che cerca dei fiori tra le macerie.
Zelia Zbogar
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