Energia e freschezza nell’ultimo film di Matteo Rovere

Ancora un contributo positivo in un periodo già felice per il cinema italiano.

L’ultimo film di Matteo Rovere si presenta in linea con un periodo decisamente felice per il cinema italiano, che nell’ultimo anno ha sfornato prodotti encomiabili e di grande valore come Bella e Perduta, Non essere cattivo o Lo chiamavano Jeeg Robot, tra l’altro tutti lavori estremamente diversi l’uno dall’altro, il che lascia ancora di più la sensazione che non si tratti di meteore isolate, ma che il cinema di questo paese stia davvero portando alla luce diversi esempi di evidente virtù.
Nonostante i pregi di Veloce come il vento non raggiungano i livelli di talento mostrati nei precedenti film citati, Matteo Rovere, che ha dichiarato di essersi ispirato, rielaborandola in chiave drammatica, alla filmografia italiana d’azione degli anni ’70, si inserisce a pieno titolo nella scia già avviata dai suoi colleghi, contribuendo indiscutibilmente ad apportare valore e consistenza al prestigio e alla qualità che stanno caratterizzando ultimamente il cinema nostrano.

Nel film sono facilmente riconoscibili diversi limiti, o quantomeno degli aspetti grossolani, quali qualche eccesso melodrammatico, il fatto che in varie occasioni sia oltremodo prevedibile, che la struttura narrativa non sia tra le più originali, non è certo il primo allenamento modello Rocky che vediamo, o un finale, del quale personalmente, avrei evitato del tutto alcune scene.
Ma tutto questo non impedisce al lavoro di Rovere, di illuminare la scena con una genuinità e con un’energia emotiva fuori dal comune.
Valori profondi e dinamiche relazionali vengono gestiti e rappresentati in modo credibile ed estremamente efficace, trovando un equilibrio tra picchi di passione e vissuti più sommessi e radicati, arrivando così allo spettatore con notevole intensità e altrettanta delicatezza.

Complice, indubbiamente l’ottima interpretazione di uno Stefano Accorsi in inopinabile stato di grazia, che offre in questa occasione una notevolissima prova, incarnando in tutta la sua spontaneità, la figura disperata di un tossicodipendente di lunga data che tenta di redimersi, cogliendone molto bene gli aspetti tipici, ma contemporaneamente facendoli propri, senza che risultino nella loro tipicità, impersonali, caricaturali o scontati.
Il risultato è un personaggio molto potente che esprime al meglio una volontà tutta affettiva, tutta dettata dalla pancia, che si scontra continuamente con la povertà di strumenti necessari per sostenerla, votandosi così, nove volte su dieci al fallimento, per quanto forte e sincera possa essere.
Hanno una forza straordinaria, certe sue espressioni, dalle quali emerge immediatamente il suo essere disarmato di fronte a qualsiasi forma di aggressività, le sue reazioni infantili che denotano propriamente l’anima di un bambino ancora piccolissimo, un’anima grande ma imprigionata nel corpo sfatto di un adulto disastrato, l’incapacità di gestire sé stesso, una relazione di qualsiasi genere, una qualunque responsabilità, ma nello stesso tempo il coraggio di spenderlo tutto, a costo della vita, affidandosi all’unica cosa che gli è rimasta, l’unica ancora vitale, che pulsa sempre, l’unica che lo fa stare in piedi nonostante tutto, il proprio cuore.
Al di là del personaggio di Stefano Accorsi, peraltro catalizzante gran parte dell’attenzione, tutte le dinamiche intorno alle quali si svolge il racconto, il dolore e la sofferenza di una famiglia sconquassata per anni, quello di tutti, ognuno nel periodo di vita in cui ne viene colpito, la necessità di mantenere quello che è rimasto, la rabbia, la paura di non farcela, la tristezza e la rassegnazione già radicate in un bimbo che non conosce il sorriso, sono elementi fondamentali per la costruzione e la resa di un prodotto consistente e coinvolgente, la cui visione risulta assolutamente soddisfacente.

Apprezzabili inoltre, alcuni espedienti visivi, come la prospettiva notturna sulla città durante la corsa finale o la soggettiva dei piloti vista sui tablet.

Buoni anche l’esordio di Matilda De Angelis, che nel complesso, indovina il suo primo ruolo, già da protagonista, e l’interpretazione sentita di Paolo Graziosi, nel ruolo di Antonio Dentini, il meccanico che ha raccontato la storia vera che ha ispirato il film.

Veloce come il vento è al cinema da giovedì 7 aprile.

Roberta Girau

 

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