Era il 1996… l’esordio di Paul Thomas Anderson

Sidney segna l’esordio alla regia di uno tra gli esponenti più importanti della cinematografia americana contemporanea

1996, il grunge era bello che andato ormai ed il brit pop spopolava in ogni dove. Leonardo Di Caprio era solo un altro novello Jimmy Dean ed il Titanic era lì per levare l’ancora direzione “sono il re del mondo”.

In questo cumolo di fatti che ci accompagnarono verso il nuovo millennio, ecco comparire sulle scene, un po’ celato nell’ombra e dall’esigui suoni che facevano i pochi spiccioli con cui fu realizzato, il primo lungometraggio di quello che, a mio modesto parere, è l’autore forse più importante dell’intera cinematografia americana contemporanea: Paul Thomas Anderson. Era il 1996 appunto quando il figlio di Ernie Anderson (noto showman americano) esordisce con questa pellicola, Sidney (Hard Eight in orginale), che è la storia strana di un anziano giocatore d’azzardo che salva dalla disperazione un giovane che non sa dove sbattere la testa. Gli insegnerà tutto ciò che sa sul gioco, consegnandogli un’eredità preziosa quanto pericolosa. Due anni dopo i due sono amici o qualcosa di simile al discepolo ed il maestro, ma la vita non lascia mai nulla di incontaminato e quel bizzarro gioco a due, come è naturale che fosse, viene intaccato dalla comparsa di un gaglioffo di colore che ciancia perlomeno quanto si atteggia ed una bionda, ah le bionde dei film. Fatale quanto sgangherata, moralmente discutibile ed instabile quanto una trave su un cornicione. Un film interessante, che deve molto a tutti i grandi cui Anderson si dimostrerà essere devoto nelle pellicole successive (Altman, Coppola, Demme, Scorsese) e che ha il merito di raccontare una storia semplice e sempliciotta, sorretta da una sceneggiatura a prova di bomba, attori feticcio (che torneranno spesso), ritmo da noir anni 40 nel quale il duro della situazione è spiccio e risoluto come solo i veri duri sanno essere ed una capacità assoluta di dominare la macchina da presa, di renderla complice di un disegno chiaro e definito, che asseconda i caratteri e le rughe di ogni attore, cullandoli ed allo stesso tempo usandoli. Uno dei misteri del cinema che non muore mai è, segregato, in questa unione morbosa e straordinaria fra macchina da presa ed attore che gli gira attorno. Un esordio coi fiocchi.

Marcello Papaleo

 

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