Quando i rotocalchi cinematografici, a cavallo fra 2008 e 2009, tambureggiarono che lo stilista e creativo Tom Ford avrebbe firmato la sua prima regia, i commenti sarcastici si sprecarono, a fagocitare i sorrisini ci pensò anche il soggetto: l’adattamento del romanzo Un uomo solo di Christopher Isherwood, la storia di George Falconer (Colin Firth), un impeccabile e sempre composto docente universitario di origini londinesi che ha appena perduto l’amore della sua vita, Jim, e fatica a gestire la rassegnazione ed il lutto. Siamo nel 1962, Los Angeles, l’incubo atomico bussa alle porte di ogni casa col pratino sul quale bimbetti vivaci giocano a costruirsi una vita da yankee modello, le armi giocattolo fanno il paio con quelle che potrebbero cadere sulla testa di tutti, i rifugi antiatomici sono diretta corrispondenza degli anfratti nei quali ognuno cela il proprio vero io. Proprio come George, che ogni giorno (da quel giorno) procede spedito verso un oblio fatto di memoria e rimpianto, beandosi e giocando al voler morire, perché cosa c’è di giusto nel vivere senza l’altra metà della mela? Sì, forse nulla. Ed allora lo seguiamo, in un giorno in cui tutto pare essere sul limite di crollare per poi rinascere, mentre gli incontri fortuiti che costellano le ore non fanno altro che inseguire pedissequamente la memoria di chi non c’è più. Ed allora A single man si libra in volo, sfiorando con le dita di una sceneggiatura misurata ed elegante un tema che non ha niente altro a che fare che con l’amore, la sua perdita e la spasmodica ricerca di esso. Perché come dice uno dei personaggi nei quali George si imbatte e dal quale pare quasi volersi forzatamente proteggere, l’amore è come un autobus, ne passerà sempre un altro col quale continuare a nutrire la forza inesorabile che chiamiamo vita.
Tom Ford firma un esordio bellissimo, finanche troppo rigoroso per essere un’opera prima, ed al netto di qualche marachella dovuta forse alla voglia di farci dire «oh che bravo Tommaso!», è difficile non lasciarsi conquistare da un’opera come questa. Colin Firth è semplicemente straordinario, probabilmente molto di più che ne Il discorso del Re che gli valse l’Oscar. A single man è un film sinuoso, elegante e malinconico, pare nutrirsi di lacrime al sapore del tanto scotch che il protagonista ingurgita e ci riscalda grazie allo spirito che lo nutre, raccontandoci che l’amore è solo la variabile impazzita che contraddistingue la nostra vita, se siamo alla ricerca di certezze non è ad esso che dobbiamo volgere lo sguardo, ma alla morte.
Marcello Papaleo
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