Ferdinand: incontro con Carlos Saldanha

Ecco cosa ha risposto il regista brasiliano famoso per i due film su Rio alle domande di bambini e giornalisti alla presentazione italiana del suo ultimo film. 

Ferdinand, prodotto da Blue Sky Studios e 20th Century Fox Animation, è un nuovo film d’animazione basato sul celebre libro per bambini “La storia del toro Ferdinando” di Munro Leaf, bandito dai Franchisti e Nazisti, e non solo.
In attesa che scada l’embargo sulla recensione, oltre alla proiezione oggi abbiamo anche assistito all’incontro con Carlos Saldanha, il regista brasiliano che ci ha regalato i due film sul pappagallo Rio, oltre al secondo e terzo capitolo dell’era glaciale, che ha prima risposto alle domande dei bambini, e poi a quelle dei giornalisti, presso la Casa del Cinema di Roma.

Come già detto, la trama di fondo di Ferdinand è ai molti in buona parte conosciuta trattandosi non solo di un libro uscito nel 1936, ma che ha trovato già notorietà al cinema fin dal 1938 con il cortometraggio Disney, vincitore di un Premio Oscar.
Ai molti, ma non a tutti, e anche se le domande di bambini e giornalisti, e le risposte di Saldanha, non presentano dei veri spoiler, in questi casi il consiglio è sempre lo stesso: se non volete rischiare alcuna anticipazione, meglio rimandare la lettura di questo articolo a dopo la visione del film, che in Italia verrà prima distribuito in due giornate speciali il 16 e il 17 dicembre, e poi in wild release dal 21 dicembre 2017.

 

LE DOMANDE DEI BAMBINI

Perché gli altri odiavano il toro e solo la bambina lo amava?
«Perché parte della storia a che vedere con il fatto di essere diversi, e quando qualcuno magari è diverso da quello che ci si aspetta non tutti ti vogliono bene, poi quando conosci quella persona, come è successo per il toro, a quel punto poi piaci a tutti»

Perché hai scelto proprio una storia di amicizia?
«Perché oggi viviamo in un mondo che è molto difficile, io volevo realizzare un film che fosse per tutti quanti, quindi ci dovevo mettere un messaggio buono, per me l’amicizia e la tolleranza sono cose molto importanti e positive»

Come hai cominciato a fare questo lavoro?
«Da quando avevo la vostra età ho sempre amato disegnare, ho sempre amato le storie, però non sapevo come si facesse, quindi crescendo ho deciso di voler fare qualcosa di serio, studiare questa cosa, realizzare questo sogno. Ho avuto l’opportunità di frequentare un’ottima scuola negli Stati Uniti, una scuola dove si insegna animazione, e ho cominciato così, però la cosa più importante è non importa dove siate, se veramente credete in un qualcosa, ce l’avete nel cuore, dovete perseguire il vostro sogno»

Come mai il toro fa il buono anche con il torero?
«Ottima domanda. Perché questo è il motivo per cui Ferdinand è speciale. Non hai bisogno di essere arrabbiato, violento, cattivo, anche con le persone a cui tu non piaci. Ferdinand è un toro buono perché ha un cuore gentile»

Questo film l’hai fatto in Brasile oppure in un altro posto?
«L’ho fatto a New York, negli Stati Uniti»

LA CONFERENZA STAMPA

Carlos, abbiamo avuto un assaggio poco fa delle domande che fanno i bambini, e poi penso che tu sei più o meno abituato a ricevere domande dai giornalisti:
«Trovo molto divertente la possibilità di conoscere e vedere entrambi i lati, perché dai bambini hai la reazione diretta, pura, ti dicono immediatamente quello che provano, non ci stanno lì a pensare o riflettere, poi mi piace parlare con gli adulti dove le domande sono più complesse, di cinema, ma è bello sentire i bambini che reagiscono immediatamente e che ti danno immediata ricompensa se il film vale. Se non lo è sono duri»

Che domande si fa un regista di fronte al lungo processo che richiede un film d’animazione?
«Ovviamente la prima domanda che il regista si pone è perché voglio fare questo film. Perché il processo di un film d’animazione è decisamente lungo, anche se è tutto preparato ci vogliono minimo 4 anni. Perché mi voglio impegnare tanti anni? Con Ferdinand non sapevo come avrei fatto il film ma sapevo che volevo raccontare questa storia. Era un messaggio bello che volevo raccontare in questa storia. Processo molto difficile che rappresenta una grande sfida ma l’affronti se lo fai per qualcosa in cui credi e ami»

Il messaggio è chiaro: il vincitore non è chi sconfigge il nemico ma chi evita di combattere:
«Il vero messaggio è che possibile risolvere i problemi senza ricorrere alla violenza, semplicemente dando l’esempio. E nel processo di questo film ho fatto qualcosa di completamente diverso dai miei precedenti film. Sono partito dal terzo atto. Sono partito dal punto in cui volevo arrivare perché sapevo che volevo arrivare lì. Ho lavorato a ritroso. Mi era chiaro e volevo che il momento del terzo atto fosse un momento molto forte e potente, e che fosse chiaro per lo spettatore, che il toro avrebbe potuto uccidere il torero se avesse voluto, ma ha deciso di non farlo. Ed è lì che sta la sua nobiltà»

In questo film c’è un chiaro messaggio contro la corrida e forse anche uno vegetariano, vista la scena del mattatoio?
(Domanda posta da CINEFARM)
«No, la storia riguarda il fatto che non si giudica dalle apparenze, e non neanche fondamentalmente contro la corrida. È un film in cui il personaggio è interpretato da un toro e c’è di mezzo la corrida ma è semplicemente Ferdinand, un toro che non vuole combattere. Quindi tutto il resto è secondario, poi se le persone non vogliono mangiare Ferdinand perché non mangiano carne è un altro discorso, io la carne la mangio, però quella è una scelta, un qualcosa di secondario. È semplicemente che lui è il protagonista della storia raccontata dalla sua prospettiva che non vuole combattere pure se messo nell’arena. Poi se per un paio di settimane non si mangia carne va bene lo stesso»

Questo libro ha un peso particolare, è stato vietato in Spagna fino alla morte di Franco, è stato bruciato dai Nazisti per il suo messaggio pacifista, era un materiale che aveva un peso in sé, con che spirito ha affrontato questo libro e il suo rapporto con il disegno?
«La prima cosa che ho amato quando ho letto il libro su Ferdinand è il messaggio che ti trasmette, ma non ero sicuro di fare il film dopo aver letto il libro anche perché non avevo mai fatto un film basato su in libro, gli altri erano tutte idee originali. Poi ho parlato con la famiglia. Ho chiesto loro “Perché volete che faccia un film da questo libro? Che cosa posso dare io per rappresentare ciò che il libro contiene?” Loro risposero che il libro era stato scritto tanti anni fa, volevano che mettessi tutti i sentimenti contenuti nel libro, e sul resto avrei avuto libertà, a partire dallo stile. Essendo breve il libro sarei dovuto andare oltre quello contenuto nel libro, espandere la storia, e loro mi risposero che dal punto di vista stilistico potevo fare quello che volevo, l’importante è che io trasferissi le sensazioni suscitate. Mi ha dato chiaramente il senso di libertà per fare quello che volevo fare. Gli ho chiesto perché è stato proibito, e loro mi hanno risposto perché parla di pacifismo, per il modo in cui le persone reagiscono alla storia, perché molte persone si sono identificate con i vari protagonisti, e la reazione suscitata è ciò che ha portato a censurarlo, perché magari ci sono persone che si sono identificate alla possibilità di reagire all’oppressore, laddove identificavano la società con il torero, perché c’era la possibilità di scegliere chi essere o cosa fare, tutte queste ragioni hanno portato a proibire questo libro. La cosa interessante che il libro può essere interpretato a seconda della cultura in cui viene letto in maniera diverso. È stato bandito in Germania, Spagna e Italia al momento dell’oppressione perché veniva visto come un libro contro l’oppressore, mentre in Asia è stato visto come un libro alla Gandhi, dove il personaggio aveva questa pace interiore e accettazione di essere quello che era, così ho voluto inserire più personaggi perché volevo rappresentare i vari punti di vista. Il messaggio è lo stesso ma i punti di vista sono diversi. Tra l’altro questo libro è molto interessante perché è un classico, letto e riletto in continuazione, molto popolare negli Stati Uniti, il libro che i genitori e i nonni leggono a figli e nipoti, e la storia è molto interessante perché la situazione è cambiata molto negli ultimi anni. Quando stavo lavorando al primo disegno per questo film era il 2010/11, stavo ancora lavorando al primo Rio, all’epoca il mondo era diverso e non credo che oggi sia cambiato in meglio, ma sicuramente i messaggi espressi da questo film sono più che mai attuali oggi, il concetto della tolleranza, accettare qualcuno per quello che è, non giudicare dall’aspetto esteriore, io vivo negli Stati Uniti e sapete bene come sono cambiate le cose rispetto a qualche anno fa, e quindi magari fanno capire a bambini e genitori quello che sta succedendo»

Questa storia si ripete ogni anni, è universale, porta questo messaggio molto semplice, con coraggio e gentilezza si può davvero combattere la violenza e andare avanti, come il personaggio di Cenerentola, soprattutto nell’ultimo live-action di Kenneth Branagh, e quindi abbiamo davvero bisogno di questi messaggi perché come specie umana non impareremo mai a smettere di essere bulli, quindi come se lo vede questo film trasmesso alla Casa Bianca?
«Non lo so, mi auguro che il libro ai figli lui l’abbia letto, o qualcun altro l’abbia letto ai suoi figli. Io penso che non sarebbe male l’idea che venisse pubblicato alla Casa Bianca, certo poi ne trarrebbero fuori il messaggio che vorrebbero loro, e questo è comunque parte del messaggio stesso, interpreti come vuoi sperando che la tua interpretazione sia qualcosa di positivo e magari impari anche qualcosa»

All’inizio del film c’è un flash-back realizzato con una differente tecnica di animazione:
«La cosa più importante, che ha rappresentato una sfida nel realizzare il film è stato il look, l’aspetto che volevamo dargli. In Rio tutto è concentrato sui colori, colori primari, forti, che hanno un forte impatto sull’occhio, mentre con questo film volevo dare la rappresentazione di colori che potessero toccare il cuore, oltretutto volevo rappresentare la tavolozza di colori tipica del Paese. In Rio quelli del Brasile, tropicali, in Ferdinand invece quelli della Spagna, quindi arancione, rosso, giallo, e anche il contrasto con i verdi. Volevo che i colori rendessero l’idea del Paese in cui è ambientato, come una tela, un dipinto classico. Quello che abbiamo realizzato, una sequenza flash-back di tipo onirica in cui si vede il toro nell’arena, siccome i vecchi poster delle corride erano dipinti, disegnati a mano, abbiamo deciso di sviluppare una tecnologia specifica per questo. L’animazione in 3D inizialmente, poi il rendering, un processo per cui pur essendo in 3D sembrava qualcosa di dipinto, per dargli uno spessore della cultura spagnola»

Hai voluto fare un film politico?
«No, volevo fare un bel film, poi se la gente li interpreta così, a me va bene lo stesso. Ho parlato con la famiglia dell’autore del libro, chiedendo se voleva che realizzassi qualcosa di politico, e loro hanno detto di no, perché volevano anche loro realizzare una bella storia accompagnata da bei disegni»

Valerio Brandi

 

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