Opera bulgara, presentata al Trieste Film Festival del 2015, The Lesson è il lavoro d’esordio di Kristina Grozeva e Petar Valchanov che, prendendo l’ispirazione da un evento di cronaca, hanno costruito un racconto asciutto e distaccato di una delle tante situazioni precarie vissute nell’attuale condizione economica europea. È quasi un dettaglio che in questo caso il contesto sia quello bulgaro, non vi è nulla nel film che lo testimonia, potremmo trovarci in qualsiasi altra città.
La trama narrativa segue le vicissitudini della protagonista, un’insegnante di inglese rigorosa e compassata, con seri problemi economici, che si ritrova a dover mettere in discussione i suoi valori, a causa di una serie di circostanze sempre più difficili da gestire, che le impediscono di vivere coerentemente con essi, dalle quali viene condizionata in maniera progressivamente ingravescente, fino a venirne sommersa senza via d’uscita, o quantomeno, non una via d’uscita che le consenta di mantenere saldi i suoi principi.
La sensazione suscitata dalla visione del film, è quella di un’opera accurata ma debole, forse di durata eccessiva, non particolarmente coinvolgente, nonostante tratti di temi piuttosto drammatici.
Alla base vi è una sceneggiatura probabilmente ben scritta ma priva di pathos, i cui snodi narrativi progressivi, che dovrebbero corrispondere a un sempre più alto livello di disperazione, appaiono inseriti in maniera troppo palesemente intenzionale, sono lì perché devono esserci, ma non contribuiscono a tener viva l’attenzione, né evocano particolari emozioni, il che rende poco fluido e autentico il risultato finale.
La paura costante di non farcela, l’orgoglio di non voler sottostare alle umiliazioni, la rabbia nei confronti di un marito inetto che mette in pericolo tutta la famiglia, tutti stati d’animo presenti e fondamentali nel vissuto della protagonista, ma in qualche modo soffocati da una trama che sembra voler procedere a oltranza, raccontando la successione degli eventi ma senza approfondire i personaggi o soffermarsi troppo sui loro vissuti.
Paragonato per esempio, a La legge del mercato, recente pellicola francese di Stephan Brizè che affronta gli stessi temi, nonostante entrambi siano riconducibili a uno stile assimilabile a quello dei fratelli Dardenne anche per come vengono ripresi, il lavoro dei due registi bulgari, manca se non totalmente, almeno scarseggia, di quello sguardo serrato e di quell’empatia che tengono lo spettatore costantemente legato all’angoscia e alla frustrazione del protagonista.
Gli attori non sono mai sufficientemente incisivi, a partire dalla protagonista, interpretata da Margita Gosheva, che appare intrappolata in una figura troppo rigida e anonima.
Il pilastro portante che dovrebbe sostenere il senso di tutto il film, è il contrasto tra valori he sembrano essere fondamentali, e il fatto che il sopraggiungere di determinate condizioni, possa costringere a metterli in discussione, sino a calpestarli totalmente, portando lo spettatore a identificare una propria linea immaginaria e a chiedersi in quali condizioni e se la oltrepasserebbe.
Contrasto che dovrebbe quindi essere sottolineato, messo in risalto, mentre anche la sua individuazione, risulta essere abbastanza banalmente e non sempre in modo del tutto credibile, indotta dagli eventi, non vi è mai, un tocco, un movimento, un elemento un po’ più raffinato che lo faccia emergere in modo meno grossolano.
Il film si gioca tutto sul conflitto morale che si instaura tra l’assoluta intolleranza iniziale di condotte deprecabili e biasimate categoricamente dall’insegnante, assunte per esempio dai suoi allievi o dal padre, e il successivo riformularsi più o meno cosciente di un senso di sè, nel momento in cui si ritrova a compiere azioni simili a quelle sino a poco prima rifiutate; padre dal quale, pur essendo l’unico che può tirarla abbastanza facilmente fuori dai guai, rifiuta qualsiasi aiuto, proprio perché non riesce a passar sopra le sue azioni passate e presenti, scegliendo a quel possibile aiuto una condotta altrettanto se non maggiormente deplorevole.
Un conflitto che avrebbe potuto essere sviluppato meglio.
Come dichiarato dai due registi, il film dovrebbe essere il primo di una trilogia, i cui soggetti prenderanno tutti spunto da fatti realmente accaduti che hanno come denominatore comune la lotta tra individui semplici e gli ostacoli che il sistema attuale, cinico e ineluttabile, mette costantemente sulla loro strada di vita.
Probabilmente, inserito in un progetto più ampio di questo tipo, anche questo primo lavoro può diventare più interessante.
Roberta Girau
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