God’s Pocket: esordio alla regia per Slattery

Meschinità e grettezza umana concentrate in un sobborgo della periferia di Philadelphia.

Al suo esordio, l’attore John Slattery sceglie di cimentarsi nella sceneggiatura e nella regia basandosi su un altro esordio, quello dello scrittore Pete Dexter, traendo la sua prima opera dal romanzo omonimo GOD’S POCKET, del 1983.
Il titolo delle due opere indica la loro comune ambientazione, uno squallido e sordido sobborgo della periferia di Philadelphia, del quale il film racconta, con amara ironia, la realtà.
Uno scenario molto ben descritto e delineato, complice anche l’ottimo cast, che trasmette efficacemente l’atmosfera di una dimensione comunitaria radicata che si autoalimenta, asfittica, che non lascia spazio o possibilità a qualsiasi elemento possa inserirvisi o alterare anche solo minimamente degli equilibri stratificati e stagnanti ma altrettanto saldi.

La morte durante una giornata di lavoro, di un giovane del quartiere, diventa un pretesto per immettere lo spettatore in una realtà corrotta e viziata, consentendogli di percepirne le diverse sfumature, una condizione in cui nessuno è immune allo squallore generale, nella quale è abilmente sottolineata la congrua distanza tra la realtà e le voci che la rumoreggiano avendo la vana ambizione di corrisponderle.
Così un piccolo strafottente e violento delinquentello di quartiere, cattivo e razzista, diviene dopo morto, senza che nessuno osi anche solo fare un’osservazione in senso contrario, un bravo ragazzo, amante del lavoro e degli animali che in vita li torturava.

Una comunità che annulla ogni individualità, protegge sé stessa a qualsiasi costo, a discapito di qualsiasi morale, coerenza o vissuto, e schiaccia chiunque non si adegui totalmente alle sue regole sempre implicite, fatte di omertà, di segreti che non lo sono, di voci che prevaricano la realtà che raccontano, di personaggi grotteschi che si riconoscono nel branco e non sembrano avere alcuna autonomia personale.
Sembra che tutto abbia la stessa valenza, al di là di eventi, legami o cambiamenti di qualsiasi tipo. E allora diventa assolutamente normale vestire di rosso e aggirarsi in movenze palesemente seducenti, così da finire a letto con il primo uomo che raccoglie il segnale, subito dopo la morte del proprio figlio, è normale rubare un camion gentilmente, portare in giro un cadavere dentro lo stesso, ammazzare due malfattori che entrano in un negozio, che tanto ammazzare era già il loro intento, si tratta solo di chi fa prima, e non importa se a sparare è una vecchia signora. Tutto nella norma, tutti sanno tutto, nessuno si lamenta o si stupisce.
Tanto è tutto marcio.
E se c’è qualcuno che ogni tanto percepisce delle incongruenze, che non sente ad appartenere a quelle dinamiche, e prova a demarcarsene, viene immediatamente respinto, escluso o peggio, alla fine, anch’egli troppo debole nel suo essere, ne viene facilmente risucchiato.

Molto buone le prove attoriali di tutti gli interpreti, anche quelli che ricoprono i ruoli più marginali centrano perfettamente il personaggio.
Primo tra tutti Philip Seymour Hoffman, in una delle sue ultime interpretazioni, questo è l’ultimo film uscito quando era ancora in vita, come sempre offre una prova di notevole spessore.

Ma altrettanto riusciti i ruoli di John Turturro,  Christina Hendricks, Richard Jenkins, che incarna p uno scrittore narciso e subdolo, che rappresenta perfettamente la pochezza umana di God’s Pocket.

Roberta Girau

 

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