E’ terminata martedì scorso, dopo 12 puntate intense e capaci di macinare record su record (di spettatori e critica), Gomorra – La Serie (ve ne avevamo già parlato http://www.cinefarm.it/dal-romanzo-al-cinema-alla-tv-gomorra/) , tratta dal best seller di Roberto Saviano. In questo asfittico e mefitico panorama televisivo italiano, ove i format di successo parrebbero essere solo prodotti legati alla caricatura romantico malavitosa ed a preti che si inventano detective, ecco che Gomorra giunge come un tuono a ridefinire contorni che, forse, avevamo dato troppo per scontati. A differenza del (bellissimo) film di Matteo Garrone, più analisi sociologica che thriller, la serie racconta la vita, le trame sordide ed efferate della famiglia Savastano, così composta: Don Pietro (Fortunato Cerlino), dalla moglie Imma (Maria Pia Calzone) e dal figlio Gennaro (Salvatore Esposito). Attorno ad essi gravitano tutta una serie di caratteri fra i quali spicca il killer vicino a Don Pietro, Ciro Di Marzio, detto l’Immortale. Completa il cast il nemico dei Savastano, il cattolicissimo e spietato Salvatore Conte.
Il merito di Gomorra – La serie e dei suoi autori (sceneggiatori e registi, fra cui Stefano Sollima) è quello di non essere venuti a patti con la fiction ed, allo stesso tempo, di aver tratteggiato un racconto che sconvolge ed appassiona, spaventa e fa riflettere. Non vi sono menzogne nel riprendere cosa accade in una piazza di spaccio, non vi sono falsità nel raccontare quei dialoghi fra boss e manager deputati a gestire il fiume di denaro che da Napoli, come un virus che si propaga, raggiunge ed infetta le economie dei più potenti stati del mondo. Saviano fa centro, ancora. Non cede alla tentazione di immettere nella storia un suo epigono, che possa fungere da testimone degli accadimenti, non è questo il modo per raccontare questa storia (micro) che raggela il sangue al pensiero che a pochi centinaia di km da ognuno di noi vi sono luoghi nei quali vigono modelli di vita e comportamento che hanno a che fare con il primordiale, luoghi ove la Legge non è altro che quella, molto più terrena e sanguinolente, di un colpo di pistola, esploso da chiunque, che sia un amico, un fratello, uno zio od un padre. Sollima e gli altri registi realizzano qualcosa che merita di essere elogiato e ricordato, come indimenticabili sono gli attori che interpretano questi anti eroi che, nonostante tutto, riescono a scavare nell’anima di ognuno di noi, facendoceli non dico amare ma comprendere. Il posto dove nasci e cresci ti plasma, ti rende materia di un cosmo nel quale la spietatezza e la fame di un posto al sole (anche per poco) è più forte di tutto e tutti. Nel corso delle 12 puntate, ovviamente, vi sono stati momenti migliori e momenti meno riusciti, ma ciò che resta è, indiscutibilmente, un prodotto fiction che non ha eguali nella storia televisiva italiana. Cosa resta, infine, mentre la tensione dell’ultima puntata raggiunge l’acme e scopriamo che Don Pietro ha ancora cartucce da sparare, Ciro “l’Immortale” ha fallito la scalata e quelle dita della mano di Jenny fanno capire che altro sangue verrà versato, altro odio verrà riversato, in una seconda stagione in fase di scrittura e, ahinoi, con la consapevolezza che la realtà di ogni giorno saprà fornire nuovi ed efferati spunti.
Marcello Papaleo
You must be logged in to post a comment Login