La Pazza della Porta Accanto – Found Footage D’autore

Ci sono dei deliri che vanno oltre i piaceri effimeri, oltre l’orgasmo fisico. Ci sono dei deliri da provareAntonietta De Lillo ritrova le parole che si erano perse e torna a raccontare Alda Merini

Ho avuto occasione di intervistare Antonietta De Lillo alla vigilia dell’anteprima torinese di Let’s go. Cronaca in soggettiva dell’esodo professionale ed emotivo di Luca Musello, un fotografo napoletano trasferitosi a Milano. Insieme abbiamo parlato di La pazza della porta accanto, opera del 2013 uscita nelle sale lo scorso 17 novembre. Si tratta di una composizione di found footage con cui la regista ha ritrovato il suo corto del ’95 dedicato ad Alda Merini – Ogni sedia ha il suo rumore. De Lillo ha rimesso mano al materiale rimasto fuori dal montaggio e il risultato è una conversazione che completa e espande quanto già raccontato. In cui Merini ripercorre il suo itinerario di donna, madre e poetessa, rievoca l’infanzia, gli amori e i numerosi ricoveri in manicomio. Leggera e incredibilmente dura, libera, sola e nonostante gli anni attuale. Tra le mani una sigaretta, e sulle dita lo smalto vecchio, consumato come le immagini in video8.

Cosa l’ha riportata al lavoro con Alda Merini?
Una memoria latente. Ho amato il film precedente, ma avevo la sensazione che il clima, la conversazione e la stessa Merini non fossero stati restituiti allo spettatore nella loro interezza. Come a me stessa. Il mio inconscio stava lì e mi diceva che questo materiale non era stato raccontato completamente, anzi era quasi inedito. L’occasione è arrivata grazie a Paola Malanga e a RaiCinema. Era un desiderio che ha trovato concretezza.

Un found footage del suo proprio materiale..
“Sono stata spettatrice del mio stesso girato, direi un’avventura intima e speciale. Tutti e due i ritratti mi sono figli, non c’è un opera buona e una cattiva perché le stesse immagini possono scrivere più racconti. La curiosità è che sono fatti in due momenti diversi della mia vita. Ogni sedia ha il suo rumore è una sorta di prologo. La messa in scena unisce due linguaggi, il racconto della Merini e lo spettacolo Delirio amoroso con Licia Maglietta. In La pazza della porta accanto si sente che sono più matura, la narrazione non si ferma al discorso poetico.

L’intervista si alterna a delle immagini di Milano, dalla Martesana ai Navigli. È un percorso?
No. Milano è luogo e testimone della vita della Merini, è la sua città. Ho seguito il corso dei navigli per accompagnare il flusso di parole e pensieri. Sono riprese acquose, solari e raccontano una complicità. E anche in un lavoro apparentemente semplice c’era bisogno di dare note e pause. Per un motivo strutturale, per dare allo spettatore il modo di assimilare quanto viene detto. Il percorso semmai è nella narrazione che segue una certa drammaturgia. Inizia con le sue memorie di bambina e poi si evolve.

Cosa significano le mascherature di queste immagini?
Non so dire se rappresentano uno sguardo frammentato o uno che si sofferma solo su alcune cose. Per certo non si rifanno all’idea del manicomio e dell’alienazione. Sono nate con le parole della Merini “vedo i versi come tanti pezzetti di carta sparsi sul tavolo, sconnessi finché non sopraggiunge un soffio di vento a sistemarli”. Con le mascherature ho cercato di trasmettere questa capacità di riordinare la realtà. La telecamera non è davanti all’occhio di chi guarda, è dentro, in quella percezione più istintiva e settoriale propria dell’artista.

Perché ha dato un taglio così serrato alle inquadrature?
Sono stata una pioniera del video-ritratto. Ho sempre cercato di stabilire attraverso la macchina da presa un contatto diretto con il personaggio. È un incontro e il documentario è il risultato di questo rapporto. Più sono strette e più c’è sintonia, compenetrazione. Volevo entrare nella vita della Merini e raccontarla, oltre la poesia. Ma i ritratti si fanno in due e lei si è concessa con grande generosità.

Chi c’era con lei durante le riprese?
Il fonico, Licia Maglietta e Francesca Doria, tutti in piedi in uno spazio ristretto. Anche se a parlare eravamo noi due, è stato un cinema della piccola collettività. Iniziò così: “Mi vuole conoscere signorina? Diciamo che i poeti sono inconoscibili”. E poi “Non mi parli di masochismo del poeta, che non c’è. Il poeta è un gaudente di base, non vuole soffrire, vuole il denaro per stare bene.
Poi magari lo butta via.”

Quale percorso distributivo immagina per La pazza della porta accanto?
È un lavoro resistente, lo sto portando dappertutto per animare il dialogo e il passaparola. È stato trasmesso in TV dalla Rai verso l’1 di notte (forse ci tornerà in orari più accessibili) e vorrei farlo vedere nelle scuole. Muovermi in contemporanea su piattaforme e terreni differenti. Il destino è in mano agli spettatori, ma credo che stiano succedendo delle cose buone. È un momento in cui si può tornare a vedere tanto cinema diverso. Evviva la resistenza delle sale e delle distribuzioni minori!

Che cos’è un film partecipato?
Mi sono chiesta perché l’autore dovesse essere solo contro tutti, perché non a fianco, insieme? Il film partecipato è una nuova narrazione, non si tratta di episodi o co-regia. È un modo per comunicare tra filmmaker di generazioni ed esperienza differente. Ognuno porta avanti la propria inchiesta, che ha una vita autonoma, però si mantiene un unione autoriale. Un po’ come andare al mercato, c’è la casualità dell’incontro, lo spunto, l’invenzione. Oggi insieme domani anche è stato realizzato in 3 anni. Racchiude più di 30 diversi documentari e materiale derivato da workshop, rassegne, contest.. Serve solo un tema.

Oggi il cinema deve espandersi. Dagli anni ’80, dall’arrivo dell’home-video, i canali di distribuzione sono solo aumentati e con il digitale l’immagine si può riprodurre all’infinito e in modi diversi (found footage). Io cerco di approfittarne..

Domani presenta al Torino FF Let’s go..
Nella stessa sala in cui l’anno scorso ho presentato La pazza della porta accanto..

Non è un vero e proprio documentario, ma un ibrido. È girato in presa diretta e il testo è scritto dal protagonista, Luca Musella. Autore anche delle immagini girate a Milano. La scelta delle riprese, dal luogo in cui piazzare la camera a quel che è inquadrato, è dettata dalla vita. Ho deciso di sviluppare il racconto (inizialmente parte del film partecipato Oggi insieme domani anche) per la volontà di ottimismo di Luca. Il nostro è un mondo incapace di soccorrerti, se hai una caduta precipita insieme a te. Ma non è malvagio, è fragile. Per questo la forza di Luca è importante.

 

Zelia Zbogar

 

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