“La teoria del tutto”: Redmayne sfida Cumberbatch

La storia del grande fisico Stephen Hawking raccontata attraverso il film di James Marsh, e l’ottima interpretazione del 33enne londinese

A Benedict Cumberbatch e Eddie Redmayne la scienza piace. Forse non in via teorica, ma cinematografica si.
Entrambi concorreranno all’Oscar per la statuetta di miglior attore protagonista. E come accennato una settimana fa proprio su Cinefarm, difficile stabilire quest’anno un vincitore in questa categoria, oltre a quella per il miglior film.

Se Benedict gareggerà grazie all’interpretazione di Alan Turing, Eddie è sceso in campo “rubando” un vecchio ruolo proprio al suo rivale: forse non tutti sanno che Cumberbatch, nel 2004, aveva interpretato Stephen Hawking in un film per la televisione.
The Imitation Game” racconta una storia per molto tempo nascosta di un uomo che ha diminuito i tempi della seconda guerra mondiale, e dato il via alla nascita dei computer.
La teoria del tutto” racconta di un uomo tutt’altro che sconosciuto.

Stephen Hawking è conosciuto quasi da tutti, anche dai completi estranei del settore, e anche dai ragazzini che guardano i Simpson.
Però tutto quello che c’è dietro quest’uomo condannato sulla sedia a rotelle e a parlare attraverso un computer?
In questo viene in aiuto il film di James Marsh, e soprattutto Eddie Redmayne.
Il bel Marius di Les Misérables, che alla cerimonia degli Oscar 2013 stringeva forte Amanda Seyfried, riesce a trasformarsi nel più celebre fisico degli ultimi anni, grazie ad occhialoni, una mascella che sembra diventata più grande, e soprattutto a una preparazione per eseguire al meglio i movimenti di coloro che sono affetti dalla malattia del motoneurone, per raccontare tutta la sua storia, almeno fino ad oggi.
Una malattia che gli fu diagnosticata a soli 21 anni. Non esistevano cure, e i medici gli danno solo due anni di vita.
Non aveva tempo, in poche parole. Jerry Lewis per tirarlo su di morale gli avrebbe regalato un calendario (celebre battuta del comico nei confronti di Dean Martin nel suo primo film, “La mia amica Irma”), lui decise di affrontarla cominciando a studiare proprio il tempo, e il suo rapporto con i buchi neri e l’origine dell’Universo.
E dietro una grande mente, c’è sempre una grande donna.
Alan Turing aveva Joan Clarke, John Nash ha Alicia, Stephen Jane Wilde.
Probabilmente non vincerà la statuetta perché quella per la migliore attrice protagonista sembra già consegnata a Julianne Moore, ma questo non toglie nulla all’interpretazione di Felicity Jones, che rappresenta al meglio la forza di questa moglie capace di mantenere in vita il marito non solo nel corpo, ma anche nella mente, sostenendolo in tutto e per tutto finché ha potuto, e continuando ad esserle amica anche dopo il divorzio.

Poiché è inutile azzardare una vittoria per uno dei due, visti i valorosi outsider come Keaton e Cooper, ma anche perché entrambi si sono calati alla perfezione nei loro personaggi, si può solo giudicare in base a ciò che il film ci lascia, a cosa può insegnare a grandi e piccini.
E personalmente preferisco il film di Cumberbatch, perché Turing non ha sofferto per colpa della natura, ma dell’uomo, che condannava, e condanna ancora oggi ingiustamente, gli omosessuali. E per questo ha sofferto negli ultimi anni della sua vita, fino a morire troppo giovane.
Sicuramente Hawking ha sofferto di più per via della sua malattia, ma è ancora vivo. E mentre la morte è definitiva, la vita offre sempre qualche possibilità, anche quando intorno non vedi altro che un buco nero.
Comunque vada, i loro nomi resteranno impressi anche per le future generazioni grazie a questi splendidi film.
La teoria del tutto” è tutt’ora presente nelle sale italiane.

Valerio Brandi

 

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