La torre nera: Nikolaj Arcel cambia tutto

La trasposizione cinematografica della serie letteraria di Stephen King, basata sul primo romanzo della saga, mostra molte novità, non del tutto efficaci.

Si usa troppo dire ultimamente che le serie televisive moderne siano la morte della creatività, e che chi le dirige/scrive non possiede il dono della sintesi per fare un lungometraggio cinematografico.
Su quest’ultima cosa forse non si hanno tutti i torti, ma al tempo stesso, se l’opera che si vuole raccontare è lunga ed elaborata, meglio una serie televisiva che le dia piena giustizia, o un film che la snatura completamente?

È questo il caso de “La torre nera” di Nikolaj Arcel. È già stato visto e apprezzato da colui che ha scritto gli otto romanzi della saga, la leggenda vivente Stephen King, ma questo non significa che gli altri lettori lo apprezzeranno ugualmente.
Probabilmente ci saranno dei sequel cinematografici, e ironia della sorte, pure una serie televisiva, anche se bisogna vedere quanto sarà collegata a questo lungometraggio, ma in ogni caso la bellissima storia originale sembra già del tutto rovinata da novità che definirle licenze poetiche può apparire blasfemo.
E a sentire chi ha letto la saga letteraria, basta una semplice sinossi per rendersene conto.

A New York, e in altre zone del mondo, si susseguono terremoti su terremoti. Cause naturali? No, la colpa è di Walter, l’uomo nero, che comanda un’organizzazione dispotica in un mondo parallelo. I suoi uomini, essere indefiniti che si nascondono sotto della finta pelle umana come i Visitors della fortunata serie televisiva anni ’80, rapiscono dei bambini e adolescenti puri che con la loro mente sono in grado di colpire la torre nera, un edificio tanto simile alla dimora di Sauron, e che difende tutti i mondi dell’universo.
Nessuno sulla Terra è a conoscenza di tutto ciò, se non in pochi eletti, come Jake, che di notte fa sempre sogni su questi avvenimenti. E quando la mamma, preoccupata, decide di mandarlo in un istituto, capisce che i suoi sogni corrispondono seriamente alla realtà, e nella fuga trova un portale per uno di questi mondi paralleli. Qui incontrerà Roland, un pistolero dagli abiti e armi ottocentesche che da tanto tempo combatte contro l’uomo nero.

Nikolaj Arcel non è certo l’ultimo arrivato, ha diretto Royal Affair che è stato candidato agli Oscar come miglior film straniero, ma al tempo stesso sicuramente serviva qualcuno di più navigato per una trama complessa, che infatti è stata riscritta in maniera molto più semplicistica.
In questa versione de “La torre nera” abbiamo l’impressione di assistere a uno dei tanti film distopici di questo nuovo millennio, senza essere neanche paragonabile ad ottime saghe come Hunger Games o Divergent, ma al limite di poco superiore a “La quinta onda”.
La grande differenza sta nel fatto che il giovane protagonista non è una ragazza ma un maschio, e la presenza di due grandi interpreti come Matthew McConaughey e Idris Elba.
Su quest’ultimo naturalmente sono arrivate le prime critiche perché il Roland non è certo un afroamericano, bensì un bianco maniacalmente descritto da King (biondo e con gli occhi azzurri).
Ma alla luce di tutti questi cambiamenti la scelta di Elba sembra appunto il “male minore”, anche perché stiamo parlando di un attore eccezionale.
La sua performance cerca di allontanare, o perlomeno alternare, l’atmosfera del film da fantascienza distopica a western alla Clint Eastwood, ma il risultato è un film frettoloso, con pochissime emozioni, che prova ad intrattenere con fin troppo noti effetti speciali piuttosto che a far riflettere con i tanti contenuti inseriti nei romanzi. Emozionano forse di più le nostre voci, che vedono gli esperti Alberto Angrisano e Francesco Prando, e il giovanissimo Lorenzo D’Agata (Arlo e Il piccolo principe).

Peccato, davvero peccato, soprattutto per chi ha letto e amato i romanzi originali, a meno che si faccia piacere tutte queste differenze, e in attesa di sapere come e se si evolveranno i sequel e la serie tv, “La torre nera” sarà al cinema a partire da giovedì 10 agosto 2017.

Valerio Brandi

 

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