Si è svolto lo scorso week end il Microsalon Italia, vetrina internazionale sulle ultime novità tecnologiche per il cinema e l’audiovisivo, tenutosi nella cornice romana di Cinecittà. Abbiamo incontrato Vittorio Storaro, vincitore di tre premi Oscar per la Miglior Fotografia e storico dell’AIC, che ha presentato il suo ultimo libro: L’Arte della Cinematografia.
Maestro,“L’Arte della Cinematografia”, 150 capolavori della cinematografia mondiale racchiusi in un libro. Come nasce questo lavoro e con quale obiettivo?
“L’Arte della Cinematografia è stata una mia iniziale necessità, di realizzare un qualcosa, che è un tributo a tutti quegli autori della fotografia cinematografica che mi hanno preceduto. Ho realizzato che nella mia vita sono stato molto fortunato, ho avuto chi mi ha spinto a iniziare questa professione tramite gli studi fotocinematografici. Ho avuto dei buoni maestri, ho conosciuto dei buonissimi collaboratori e ho avuto la possibilità di collaborare con grandi registi internazionali. Ho fatto dei bellissimi progetti, ho avuto dei riconoscimenti mondiali… Però, non è soltanto un grazie a questo gruppo di persone o di cose. Ho realizzato che io sono il risultato di tutti quelli che mi hanno preceduto.
Ho chiamato un carissimo amico, ed anche mio collega, Luciano Tovoli, e gli ho espresso questo desiderio. Insieme abbiamo detto “Sì Vittorio, hai ragione”, mi sembra una cosa importante da fare anche per le generazioni giovani che spesso non si rendono conto di quanto il passato è fondamentale per quello che è il nostro presente e il nostro futuro.
Spesso non conoscono certi personaggi, e poi, diciamoci la verità, sarebbe una bellissima cosa realizzare una storia di cinema vista attraverso gli occhi di chi l’ha illuminata, questa è storia del cinema.
Come possiamo scegliere però questi personaggi? Pur essendo un libro grande, ci sono 350 pagine, abbiamo selezionato 150 autori, e abbiamo dedicato 2 pagine a ciascun autore.
Noi non siamo due storici, non siamo due critici, dobbiamo fare un qualcosa che possa ringraziare quelli che ci hanno emozionato sin da quando eravamo bambini o da quando abbiamo studiato, o da quando siamo diventati professionisti. Ci sono state tantissime opere che ci hanno emozionato. Quindi, rivolgiamoci a quelli.
Quali sono quelli che hanno emozionato te e quelli che hanno emozionato me? La maggior parte erano gli stessi e abbiamo formato questo pacchetto. Abbiamo visto però che c’era l’indispensabilità che scrivessero, su questi Signori, dei professionisti.
Quindi, abbiamo chiamato due signori, un americano, Bob Fisher, e uno italiano Lorenzo Codelli, e il libro è bilingue.
C’era una cosa che m’interessava ed era dare la possibilità di visualizzare almeno un titolo di un film, simbolo di ogni singolo autore. Allora, ho cercato delle foto di scena (è molto complesso trovarle per certi periodi storici), però ho visto che alcune foto da sole non davano l’idea di un aspetto, di una sensazione cinematografica. Allora, siccome è una cosa che io amo molto fare (che faccio nelle mie fotografie), ho unito più di un’immagine fotografica di queste immagini fisse che tanti fotografi di scena hanno fatto durante tutto l’arco di un secolo, ed ho cercato di dare un aspetto più fotocinematografico, più che desse anche il senso della storia del film. Poi, è subentrato Daniele Nannuzzi, anche lui collega e Presidente della nostra associazione, “sarebbe bello non solo realizzare un’opera scritta di parole e di immagini , ma anche un’ opera cinematografica”. Come si può fare questo? Selezionando 20 – 30 secondi a film con una colonna sonora originale di Francesco Cara, che unisce tutto l’arco della storia del cinema, ispirandosi ogni tanto a dei motivi dello specifico film. Ricostruendo totalmente la colonna sonora presente nel dvd allegato al libro. Un doveroso tributo da parte nostra, ma anche la possibilità di raggruppare in un unico lavoro la storia del cinema vista attraverso gli occhi di chi l’ha illuminata.
È bello anche che tanti studenti, tanti critici, possano avere a disposizione una storia del cinema fatta così.
Fermo rimanendo che certi giudici e certi legislatori che hanno deciso nel 1941 di individuare chi sono i responsabili o i corresponsabili dell’opera cinematografica, vanno a capire che quelle opere, quei capolavori del cinema mondiale, senza quei Signori, sarebbero state diverse.
Noi probabilmente non avremmo avuto quel tipo di emozioni, se fossimo stati illuminati in un modo diverso. E quindi, far capire che come si può far addebitare un diritto d’autore all’opera letteraria di uno scrittore che è riconosciuta, come si può far addebitare un diritto d’autore all’opera musicale del musicista e il resto è tutto sulle spalle del regista, in realtà c’è un altro grande coautore, che è il coautore alle immagini, fondamentale nella cinematografia perché, infondo, il cinema è un linguaggio d’immagini. Cioè, senza le immagini, non si chiamerebbe “cinema” lo scritto e la musica, ma si chiamerebbero racconti, o si chiamerebbero sinfonie.”
L’ultimo film inserito nel libro è stato girato in pellicola o in digitale?
“Nel bene e nel male la storia della fotografia cinematografica è stata fatta da uomini e questo non ci è sembrato giusto in epoca moderna, perché sempre più l’elemento femminile è affiorato.
I 149 titoli sono tutti realizzati con tecnologia analogica, quindi con la pellicola, con lo sviluppo, la stampa etc. Ci è sembrato giusto, poichè in quell’anno è uscito anche un film di grande interesse figurativo di Anna Foerster, che si chiama Anonymous, che il 150esimo fosse un film in digitale, realizzato da una donna. Non vuol dire che di qui in poi i film devono essere fatti in digitale o da donne, ma che possono essere fatti anche in digitale e anche da donne.”
Con il digitale si sono stravolti tanti processi della filiera produttiva cinematografica. In che modo il direttore della fotografia ne esce influenzato?
“Non ci chiamiamo direttori della fotografia in Italia da almeno 10 anni.
La legge sul cinema italiano non è la legge internazionale sul diritto d’autore, purtroppo. Ma, la legge sul cinema italiano ci nomina, da dieci anni, Autori della Fotografia Cinematografica. Grazie”.
Se ci pensiamo bene l’uomo ha sempre avuto la necessità di esprimersi in immagini e si è espresso in immagini iniziando dalla pietra, nelle caverne, usando mosaici. Ha dipinto su tavola poi su tela, tramite l’utilizzo della fecola di patate, eccetera.
Ha cominciato a diventare immagine fotografica in bianco e nero, poi è diventata a colori, poi è diventata sonora, poi è diventata in movimento, poi è diventata panoramica e poi è diventata 3d. È diventata anche digitale.
Cosa vuol dire?
Che cambia il mezzo, cambiano i mezzi tecnici, perché c’è una parola che noi non possiamo fermare (la possiamo accelerare o rallentare), che è progresso. Però, non cambia il concetto, l’idea dell’autore della fotografia cinematografica, non cambia mai.
Ho fatto film sia in digitale che in analogico, che rappresenta il modo di descrivere con la luce, e tutti i componenti della luce, la storia di quel film.
Certamente ogni innovazione porta un cambiamento. Guardiamo il passaggio dal cinema muto al cinema sonoro, quante nuove figure sono entrate, quante difficoltà ha mosso, perché c’era bisogno di muovere la macchina, la si metteva ovunque la macchina da presa all’epoca. Quando è diventato sonoro, lo hanno racchiuso dentro una scatola di vetro, perché faceva rumore la macchina da presa.
Poi, la tecnologia ha superato questo e si è arrivati addirittura al movimento. È arrivato il colore e se c’era un fattore fondamentale di conflitto o di armonia tra il bianco e il nero per raccontare una storia, con l’avvento del colore si è pensato che forse nell’ombra il colore non sarebbe stato registrato bene. Per cui, si è fatta una grande differenziazione. I film “ in esterno, d’avventura, musicali o commedie” che erano, più o meno, con una singola illuminazione molto uniforme potevano essere fatti a colori, quelli drammatici dovevano essere fatti in bianco e nero.
Poi, anche qui, la tecnologia pian piano è avanzata e particolarmente tra fine anni sessanta e primi settanta, abbiamo superato questo concetto ed anche il cinema italiano è stato fatto a colori. Anzi, abbiamo visto che tramite i sette colori, oltre le tre tonalità “nero, grigio, bianco”, abbiamo avuto una gamma di scrittura molto elevata.
Io non credo che ci sia un grande cambio, credo che ci sia un cambio tecnologico con delle nuove figure tecniche che entrano ad aiutarci, ma non cambia il nostro pensiero.”
Ma, il rapporto tra l’autore della fotografia cinematografica e il regista, rispetto a un film, come deve essere?
“Prova a pensare… posso fare una metafora? In un’orchestra, tra un primo violino e il direttore di orchestra.
È esattamente la stessa cosa. Ognuno di noi è un solista. Lo scenografo, il costumista, c’è il cinematografo, il montatore, il musicista. Però, abbiamo il regista sopra di noi che decide ed ha l’ultima accettazione della nostra opera, deve dare l’approvazione finale di dove deve andare sul piano stilistico completo. Tutto qua!
La cinematografia de “L’ultimo imperatore” è di Vittorio Storaro, non di Bernardo Bertolucci, ma è approvata da Bernardo Bertolucci.
Cioè, se io facessi una cosa diversa, Bernardo potrebbe dirmi che questa cosa non gli sembra giusta, adatta, corretta, consona alla storia che stiamo facendo, al tipo di visione. Quindi, sta a me modificare quella cosa e farla entrare nella visione di quella che è la direzione ovviamente, però è sempre mia.
Molti si chiedono questa cosa, anche la legge sul cinema. Quando abbiamo provato a spingere il concetto di coautore etc..etc.., c’era questo timore da parte dei legislatori: ci sono più di un autore sul set e poi chi decide? Non c’è problema, è il regista che decide, come il direttore d’orchestra. Sta a me convincerlo.”
Recentemente, La grande bellezza ha vinto l’Oscar come miglior film straniero. Ma, perché in Italia ci sono state tante critiche?
“C’è un’abitudine negli ultimi anni: si fa più televisione che cinema. Quindi, si fanno più fiction e certe storie sono raccontate più verbalmente che non cinematograficamente.
Il film di Paolo Sorrentino La grande bellezza, invece, ha una sua natura molto cinematografica, si esprime molto per immagini.
Ripeto, il cinema è un’espressione d’immagini fondamentalmente.
Ci sono stati tanti casi che non avevano bisogno di contenuto. Sgarbi dice spesso, ed ha ragione, che “l’arte non ha contenuto”. Poi, io credo che se troviamo un equilibrio, nel nostro caso tra forma e contenuto, è meglio.
Se due immagini fanno cinema, due suoni non fanno cinema ma fanno una sinfonia, e due parole fanno un pezzo di scritto, ma non fanno cinema. Recentemente, sono più gli attori che raccontano la storia, rispetto a quanto l’impatto cinematografico dell’immagine la fa capire.”
Ringraziamo il Maestro Vittorio Storaro
Intervista a cura di Vincent Ruocco
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