È l’adattamento del romanzo di “The Last Detail” e quindi tecnicamente il sequel di “L’ultima corvè” del 1973 con protagonisti Jack Nicholson, Otis Young e Randy Quaid, ma allo stesso tempo è un film che può essere tranquillamente visto senza conoscere l’opera originale o il vecchio lungometraggio.
“Last Flag Flying” è l’ultimo film di Richard Linklater, regista di Boyhood, che ha fatto ridere e commuovere tantissime persone durante la dodicesima Festa del Cinema di Roma, e chissà, anche in America sarà la stessa cosa, visto che la distribuzione è partita lo scorso 3 novembre, in attesa di conoscere una data Italiana per coloro che non hanno potuto assistere alle proiezioni presso l’Auditorium Parco della Musica.
Siamo nel 2003, anno di inizio della seconda guerra del Golfo, uno dei simboli del pessimo operato di George W. Bush. In un bar che tanto ricorda quello di Boe Szyslak Larry ‘Doc’ Shepherd (Steve Carell) trova un suo vecchio amico, per nulla cambiato dai tempi in cui si sono conosciuti, durante la guerra del Vietnam. Trattasi di Sal Nealon (Bryan Cranston), un simpatico spaccone a cui piace spesso alzare il gomito, che viene convinto da Larry a cercare un altro vecchio compagno d’arme, lui veramente cambiato in tutto e per tutto, perché il personaggio interpretato da Laurence Fishburne ha cambiato nome e vita, si chiama Richard Mueller e fa il reverendo.
Semplice nostalgia da parte di Doc questa rimpatriata? No, ci sono altri motivi. Dopo aver perso la moglie, Larry ha da poco appreso che suo figlio Larry Jr. è morto in azione in Iraq, e vorrebbe che i suoi vecchi amici lo accompagnassero fino a Washington D.C. per recuperare la salma e assisterlo nella sepoltura. I due, seppur con qualche riluttanza da parte di Richard, accettano, ma quando arrivano nella capitale vengono a sapere alcune scomode notizie sulla morte del ragazzo, così Doc, sostenuto dai suoi amici, prende il polso della situazione decidendo di seppellire il figlio nella sua cittadina e non in un cimitero militare come vorrebbe, decisamente insistentemente, il governo degli Stati Uniti.
Nel road-movie che susseguirà i tre ritroveranno l’affinità di un tempo, il senso di unione che li legava in trincea, e altre terribili verità e la maturità con cui affrontarle.
“Last Flag Flying” sembra aver inaspettatamente raccolto l’eredità di “Manchester by the sea”, presentato un anno fa anche lui in occasione della Festa del Cinema di Roma, arrivando poi a vincere due premi Oscar, per la miglior sceneggiatura originale e a Casey Affleck come migliore attore protagonista.
Il film di Linklater è un dramma, un dramma vero, terribile e intenso, ci ritroviamo anche qua di fronte alla perdita di un figlio, e al tentativo di reagire nonostante la vita sembra averti tolto tutto ciò che aveva.
E se per Lee Chandler il suo motivo per andare avanti era diventato il prendersi cura del nipote Patrick, per Larry è il sostegno degli amici. Quello religioso e riflessivo di Richard, e quello cafone ma allo stesso tempo sincero e pieno di affetto di Sal.
Anche nel film di Kenneth Lonergan, nonostante i temi forti e cupi, non mancavano le risate per spezzare la tristezza e al tempo stesso dare speranza al corso degli eventi, ma in “Last Flag Flying” sono ancor più numerose e soprattutto convincenti.
Merito del genio comico di Bryan Cranston, ormai un vero e proprio personaggio del cinema americano, difficile al momento immaginare un altro diverso da lui nel ruolo scritto dallo stesso regista e da Darryl Ponicsan. Insieme al tema del lutto abbiamo anche tanta critica alla politica americana, o meglio, la critica migliore che un Americano possa partorire.
Senza fare spoiler di alcun genere, o almeno è questo che ci auguriamo di fare, Linklater ci dimostra che anche se uno Statunitense si rende conto delle nefandezze compiute dal suo Paese (come l’invasione di un Paese straniero trasformata in difesa della patria) alla fine non riesce del tutto ad odiare lo zio Sam.
Una storia piena di bugie scoperte ma rivelate fino a un certo punto perché forse una bugia a fin di bene a volte riesce a far sopravvivere chi ne ha bisogno, o riesce a tirare fuori il meglio da qualcuno. Il punto fondamentale sarebbe il motivo per cui si decide di mentire, e Linklater mostra chiaramente la differenza tra governo e soldato semplice.
Buone sensazioni per un Oscar a Bryan Craston e per la sceneggiatura non originale, in attesa di scoprire la data di uscita in Italia.
Valerio Brandi
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