A Roma da giovedì 9 aprile a sabato 11 aprile si svolge la V edizione de Lo Spiraglio Film Festival della Salute Mentale, un’ulteriore occasione che il cinema ci offre per vedere il mondo da una prospettiva diversa, difficile per molti da comprendere, difficile per altri da far comprendere. Tra le pellicole in concorso c’è anche Il viaggio di Marco Cavallo del quale vi ho parlato la scorsa settimana in occasione della chiusura degli OPG. Tra gli eventi speciali del Festival spicca la presentazione venerdì 10 aprile del film vincitore della 29° Settimana Internazionale della Critica all’ultima Mostra del cinema di Venezia: Figlio di nessuno, del regista serbo Vuk Ršumović.
Il film racconta la storia di un bambino-lupo che alla fine degli anni Ottanta viene ritrovato da un gruppo di cacciatori nei boschi della Bosnia e viene mandato in un orfanotrofio di Belgrado con un documento che ne deciderà per sempre l’identità anagrafica e il destino: si chiamerà Haris – nome serbo – Puckec e avrà nazionalità jugoslava. Nell’orfanotrofio di Belgrado Puckec viene affidato alle cure di Ilke, un maestro pieno di passione che tenta di insegnargli “la civiltà”, ossia camminare con le scarpe, mangiare con le posate e comunicare con le parole. Non bastano, però, gli sforzi del tenace Ilke per convincere Puckec ad abbandonare il proprio habitus lupi sarà necessario l’intervento di un altro residente dell’orfanotrofio, di un altro bambino abbandonato, un altro ospite inatteso del mondo perché la corazza di ululati, latrati e morsi di Puckec si rompa e lui cominci a vivere con gli altri e non solo accanto a loro.
Un bambino abbandonato adotta un altro bambino abbandonato e gli insegna ciò su cui si basa ogni ulteriore insegnamento: la fiducia. Il figlio di nessuno Puckec si lascia addomesticare da un altro figlio di nessuno, Zika. Impara a camminare su due piedi, a sedersi a tavola per mangiare e a stare in compagnia degli altri senza fuggirli. L’apprendistato di vita del piccolo di lupo è da poco cominciato che già si interrompe: il padre di Zika torna per riprenderselo e di fronte alla prospettiva di una casa, di un luogo chiamato ‘famiglia’ il sedicenne Zika si spoglia di ogni responsabilità paterna nei confronti di Puckec e abbandona l’orfanotrofio. Si rompe così il rapporto tra questi due piccoli di uomo e svanisce in un istante la loro possbilità di crescere come fratelli, l’uno al fianco dell’altro, e non come lupi solitari nella trincea dell’esercito umano. Passano solo pochi anni che Zika, nuovamente abbandonato dal padre, torna in orfanotrofio. Tutto è cambiato, però: Puckec non si fida più di lui e i regolamenti dell’orfanotrofio non prevedono la possibilità del suo re-inserimento. Di fronte a un abbandono ancora più profondo di quello in cui finora ha vissuto Zika compie un gesto estremo, un gesto che non è il piccolo di uomo a cercare, ma è stato il mondo civilizzato a volere. Perduto il suo grande e unico amico Puckec proseguirà nel cammino di crescita finchè non si aprirà anche per lui la possibilità di trovare una casa, dei genitori, ma sarà un’altra promessa di accoglienza che il mondo civilizzato fa al piccolo senza poi mantenere. È il 1992, l’anno in cui scoppia la guerra in Bosnia ed Erzegovina e il bambino dal nome serbo, Haris, non potrà essere adottato dalla coppia di genitori bosniaci che pure, prima dell’inizio della guerra, ne avevano fatto domanda. Di nuovo solo Puckec verrà adottato da una famiglia che non si stanca mai di accogliere nuovi figli: la guerra. Una pattuglia dell’esercito serbo, infatti, lo incrocia tra i boschi della Bosnia e una volta capito dal nome che Haris è uno dei loro, lo prende con sé. Inizia così per Puckec un altro periodo di formazione: i suoi commilitoni gli insegnano a camminare con gli anfibi, a strisciare sulla pancia e a sparare con i fucili. Nei boschi della Bosnia dove solo dieci anni prima correva con la sua mamma-lupo Puckec impara il più emblematico insegnamento del mondo civilizzato: come gli uomini si uccidono tra di loro. Dopo quest’ultima lezione, dopo che ha visto morire al proprio fianco l’ennesimo uomo che si è preso cura di lui aiutandolo a stare al mondo, Puckec sceglie l’universo che tra tutti sembra il più civile: quello animale. Si libera degli anfibi e torna a correre nei boschi, non più solo, e forse solo ora che ha conosciuto la brutalità dell’uomo, solo ora veramente libero.
Una narrazione per immagini piena di suggestioni, di simboli, di poesia, un racconto denso di senso e di sentimento, che parla di adozione e di abbandono, di civiltà e di bestialità, di amore e di tutto quello che all’amore si oppone e che molto spesso prende le forme di un animale che tutti conosciamo quando ci guardiamo negli occhi: l’uomo.
Figlio di nessuno uscirà nelle sale italiane giovedì 16 aprile 2015.
Flaminia Chizzola
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