Loving Vincent: Arte e vita s’incontrano sul grande schermo

In sala per tre giorni, dal 16 al 18 ottobre 2017, il primo film interamente dipinto su tela che ripercorre gli ultimi mesi della vita di Vincent van Gogh.

Vincent van Gogh è universalmente riconosciuto come il genio incompreso dell’arte del XX secolo. Quasi del tutto ignorato da collezionisti e critici mentre era ancora in vita (basti pensare che di tutti i suoi quadri solo uno, “Il vigneto rosso”, venne acquistato), la sua produzione artistica è stata oggetto di ogni tipo di celebrazione a partire dalla morte, tragicamente avvenuta nel 1890. La sua prima mostra, fortemente voluta dal fratello Theo e dal critico Albert Aurier, venne organizzata a Parigi a pochi mesi dalla sua scomparsa; a questo primo successo seguì negli anni una lunga serie di retrospettive, romanzi, saggi e pellicole. L’opera di Van Gogh viene ancora oggi periodicamente ripresentata al pubblico tramite mostre e prodotti multimediali sempre più all’avanguardia.
L’ultimo arrivato sul grande schermo è il film d’animazione “Loving Vincent”, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, e distribuito da Nexo Digital nelle sale italiane esclusivamente il 16, 17 e 18 ottobre. La peculiarità della pellicola consiste nell’essere il primo film completamente dipinto su tela. Dopo aver dedicato 4 anni allo studio e allo sviluppo di un’adeguata tecnica di rappresentazione, circa 100 artisti hanno prodotto in 2 anni oltre 1000 dipinti, a partire dai più celebri quadri di Van Gogh. Questo lavoro titanico è stato svolto nelle città polacche di Danzica e Breslavia, e successivamente completato ad Atene. Il film è stato girato con attori veri, procedendo in un secondo momento al lavoro di pittura delle singole inquadrature, per una produzione complessiva di circa 65.000 dipinti a olio. I protagonisti ovviamente non sono altro che i soggetti dei ritratti di Van Gogh, interpretati da attori “trasformati in dipinti”: tra gli altri, Robert Gulaczyk (Van Gogh), Jerome Flynn (il dottor Paul Gachet), Eleanor Tomlinson (Adeline Ravoux).
La trama del film ruota intorno alla ricerca delle cause della morte di Vincent. La consegna da parte del giovane Armand Roulin (Douglas Booth) dell’ultima lettera scritta dal pittore al fratello Theo diventa il pretesto per investigare sugli ultimi mesi della sua vita. Non è infatti un segreto che l’ipotesi di suicidio sia la più accreditata per spiegare la scomparsa prematura di Van Gogh. Il film tuttavia pone in dubbio l’evolversi dei fatti, dando un certo credito alla tesi avvallata da Steven Naifeh e Gregory White Smith, che nella loro biografia “Van Gogh: The Life” (2011), affermano che questi sia stato invece ucciso.

Il pregio maggiore di “Loving Vincent” non risiede comunque nella sua peculiarità realizzativa né nella sceneggiatura. La trama del film a volte risulta frammentaria e, pur apprezzando la presenza delle splendide opere di Van Gogh all’interno del film, a lungo andare “l’effetto dipinto” può appesantire la visione della pellicola.
Il merito maggiore di quest’opera è dunque un altro. La sua modalità di realizzazione non è che il mezzo con cui il film ci ricorda chi era Vincent van Gogh, artista profondo e autentico. Genio dell’arte per il mondo d’oggi, folle e disadattato per quello di ieri, il “suicidato della società” (come lo definì Antonin Artaud) non voleva fare altro che parlare di vita vissuta attraverso i suoi dipinti, protagonisti indiscussi del film. I suoi paesaggi e le sue nature morte sono omaggi alla natura che lo circondava e che non smetteva mai di stupirlo (“L’arte è l’uomo aggiunto alla natura”, scrisse al fratello Theo nel 1879); i suoi dipinti d’interni rivelano una profonda intimità con i luoghi in cui aveva abitato, mentre i suoi ritratti non riguardano mai facoltosi committenti, ma le persone comuni che aveva incontrato nel suo percorso di vita (cammino umano, prima che artistico). È così che sono nati capolavori come “Notte stellata”, “Iris”, “Il caffè di notte” o il “Ritratto del dottor Gachet”.
L’autobiografia di Van Gogh è davanti a noi sulle tele; Van Gogh non può fare a meno di parlarci di se stesso”, dichiarava Alberto Moravia nel 1968. È questa considerazione il messaggio pienamente accolto e sviluppato sul grande schermo dagli autori di “Loving Vincent”.

Luisa Tumino

 

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