Il cineasta spagnolo Julio Médem, autore di Lucía y el sexo, ha presentato in anteprima al Biografilm Festival di Bologna il suo ultimo film, il controverso Ma Ma – Tutto andrà bene, nel quale spicca la presenza (anche nelle vesti di produttrice) di Penélope Cruz.
La pellicola, che uscirà in Italia il 16 giugno prossimo, affronta il tema della malattia, precisamente di una donna di 40 anni, Magda, madre di un figlio promessa del calcio e moglie di un marito più devoto alle sottane delle sue giovani studentesse di filosofia che ai doveri coniugali, che scopre di avere un carcinoma al seno. Tuttavia il suo caso rientra nel lato giusto della casistica, quel 70% che le dà cospicue possibilità di sopravvivenza. E nel mentre ella è impegnata a riannodare i fili della propria vita, il caso gli fa incontrare un altro essere umano a cui il destino ha tolto tanto, troppo, compreso una figlia ed una moglie, investite in un incidente stradale. Magda affronta tutto con forza ed una certa dose di incosciente ottimismo, solo l’idea di perdere uno dei suoi seni le rode alquanto, ma riuscirà a superare anche questo. La Magda interpretata da una brava (ed a volte gigionesca Cruz) è una donna che pare prendere a prestito alcune donne che ella stessa aveva interpretato per altri maestri ispanici (la Raimunda di Volver) e grazie al suo piglio, al suo disincanto per tutto ciò che ha a che fare con lo spirituale, Dio o chi per esso, riesce ad avvincere e legare a sé un gruppo di uomini che le gravitano attorno come satelliti di un micro sistema solare. Il figlio, il nuovo compagno, il ginecologo con il vezzo del canto e finanche l’ex marito, che apprendendo della sua malattia trova il modo per chiedere perdono ed essere perdonato. La pellicola di Médem pare un ritratto nel quale il proprio autore, probabilmente spinto dal desiderio di dire tanto, finisce per dire (e fare) troppo. Perché se da un lato si apprezza l’indagine sulla condizione nel quale tante, troppe donne, si trovano a combattere un male ormai diffusissimo, dall’altro vi è un film che gioca su troppi piani emozionali e non basta appellarsi alle molteplici sfumature dell’animo umano della protagonista. Perché alle volte un film ha bisogno di linearità, di scegliere ove collocarsi ed essere fedele alla propria natura, non sempre infatti si riesce a conciliare dramma e melodramma, il rischio è quello di creare un pasticcio indefinito che ci fa scordare di alcuni degli spunti interessanti di questa pellicola. Troppi temi si assommano nelle circa due ore di narrazione, vi è l’io, il noi, Dio e la sua esistenza o meno, vi è la malattia e l’amore, la morte, i figli propri e quelli persi o desiderati di altri, il passato, il presente ed il futuro. Perché sovente è meglio agire di sottrazione, affidarsi al alle immagini ed al silenzio, invece che contare esclusivamente sulla facile reazione emozionale.
Marcello Papaleo
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