Nerd criminali: da accademici a spacciatori in “Smetto Quando Voglio”

smetto quando voglio

L’anteprima assoluta a Roma del 30 Gennaio 2014: il precariato politicamente scorretto

Da “I soliti Ignoti” a “I Soliti Sospetti” il passo è breve, come le Lauree che vanno tanto di moda. Appunto le Lauree, che in Smetto Quando Voglio, esordio alla regia di Sydney Sibilia, meriterebbero l’Oscar come migliori attrici non protagoniste, risultando tanto commoventi nell’operazione di auto-umiliazione a cui si sono sottoposte.

Non ci resta che ridere. Già perché, tra due massimi esperti di Epigrafia Latina ridotti a benzinai per uno strambo cingalese, uno stimato neurobiologo tagliato fuori per far posto ad un raccomandato, un geniale esponente di Macroeconomia Dinamica ridotto alle bische clandestine, l’immagine che ne esce fuori non è per nulla rassicurante. Forse aveva ragione Totò quando in “Miseria e Nobiltà”, rivolgendosi a un campagnolo gli disse ”W l’ignoranza, e i figli, mi raccomando, non li mandi a scuola!”?.
In “Smetto Quando Voglio” si assiste quasi ad una storpiatura dell’opera di Scarpetta: decisamente più miseria e ignobiltà, visto che in un Paese come l’Italia, dove si respira la storia millenaria, un archeologo è costretto a non potersi permettere un panino frittata e cipolla.

Ecco allora che il ritratto di una generazione di precari, tutti rigorosamente tra i 30 e i 40 anni, non ci sta e si ribella al sistema. Capitanata da Pietro Zinni (il protagonista Edoardo Leo), nasce la banda dei ricercatori (ridotti ai margini della società) che metteranno a punto una smart drug (droga sintetica) eludendo i parametri dell’illegalità forniti dal Ministero degli Interni. Nell’ordine arriveranno soldi, fama, successo, nemici e carcere.

Esordio col botto all’anteprima italiana, tenutasi il 30 Gennaio 2014 presso il Cinema Barberini. Apprezzata l’opera prima del giovane Sydney Sibilia, che mette in scena una strampalata banda del buco, sfornando una sequenza fittissima di citazioni che omaggiano titoli amarcord come “I Soliti Ignoti” e la Banda Bassotti di Walt Disney. Il film risente di una regia al cardiopalma e di un uso dei colori a dir poco accecante, quasi psichedelico (del resto tra allucinogeni, ecstasy e discoteche è quasi d’obbligo). La strizzata d’occhio è tutta per la serie tv Breaking Bad, rivista in salsa comica. Le origini del soggetto, però, tradiscono una completa reverenza per la commedia all’italiana e per il cinema di Guy Ritchie. La banda degli onesti ricercatori, a cui potremmo tranquillamente aggiungere Totò (si, ancora lui) e Peppino che stampano banconote, ripercorre strade da romanzo criminale. D’altro canto, per Edoardo Leo è quasi un déjà vu, essendo stato Nembo Kid (non il supereroe) nella seconda stagione della serie tv “Romanzo Criminale”. Naturale il parallelismo con il “pijamose Roma” del Libanese. Si sa, poi, che i soldi facili attirano nemici per così dire “competitors”. Qui hanno il volto sfregiato di Neri Marcorè, splendido villain de’ noantri. Chissà che il finale non sia un po’ Snatch o RocknRolla. Cos’altro aspettarsi da una location, nel finale, meno romana e più rom? All’appello manca solo lo zingaro pugile Brad Pitt.

Esaltante, parodistica commedia che trova anche il tempo di fare il verso agli heist movie hollywoodiani, aggiungendoci un pizzico di realtà italiana.
Il risultato? Si ride, anche se si dovrebbe piangere. Merito dell’ironia del regista che in conferenza stampa racconta da dove è nata l’ispirazione per il soggetto:
Ci ho messo tutto quello che mi piace al cinema e in tv, ma lo spunto iniziale è arrivato dalla cronaca. Un articolo su La Repubblica che raccontava di due netturbini laureati in filosofia che nell’alba romana dissertavano sulla Critica della ragion pura“.
L’assurdo e la stravaganza non si fermano qui.
Tutto il cast (oltre al già citato Leo), composto da Valeria Solarino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, Sergio Solli, si è lasciato andare a confessioni su ciò che si è costretti a fare per lavorare.
Solarino: “Pur di lavorare ho finto di saper fare tutto, anche di andare a cavallo. Oppure ho negato di aver fatto l’Accademia perché sapevo che cercavano attori presi dalla strada. Ho mentito più volte anche sull’età“. Leo: “millantai di aver frequentato la scuola di recitazione “La scaletta”, di cui ignoro addirittura l’ubicazione“. Calabresi: “Mi sono spacciato per Nicolas Cage, pur di entrare a vedere una partita“.
In fondo non è poi così distante il confine tra finzione e realtà: anche gli attori si “arrangiano”.

Emanuele Zambon

 

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