Ossigeno è un documentario-intervista diretto da Piero Cannizzaro sulla rocambolesca vita di Agrippino Costa, pittore, poeta a lungo detenuto in diverse carceri italiane negli “anni di piombo”, prima militante dei NAP e poi delle Brigate Rosse, ma che non ha mai preso parte agli agguati terroristici. Agrippino è stato in carcere per furto e per gli svariati tentativi di fuga occorsi in circa vent’anni di detenzione. La macchina da presa sta sul volto di Agrippino con primissimi piani, spesso obliqui, che vogliono indagarne l’animo tormentato e ambiguo del personaggio, ripercorrendo le sue vicende personali, dal furto in Svizzera di una delle Veneri del Botticelli al periodo a Marsiglia, al tentativo di fuga dal carcere dell’Asinara, ai pestaggi, alla morte di compagni, alla detenzione nel manicomio penitenziario dove ha rischiato di perdere un piede, alla conoscenza con Franca Rame e Dario Fo che l’hanno aiutato, facendolo ricoverare a Bologna, salvandogli il piede. Agrippino con fare istrionico racconta tutto d’un fiato quegli anni, come in un flusso di coscienza per circa un’ora parla delle sue “avventure”, dentro e fuoti dal carcere. Traspare il suo bisogno di raccontare, come per chiudere un capitolo e proseguire la sua vita. La vera salvezza, però, gli proviene dall’arte, la poesia e la pittura che l’hanno sempre accompagnato per tutta la sua vita, aiutandolo a convivere con il suo desiderio di ribellarsi a tutto, anche a se stesso.
Il documentario di Piero Cannizzaro, regista che si è occupato di guerra del golfo, è il risultato di un lavoro di 13 anni fatto di incontri con Agrippino e di lunghi periodi di decantazione del materiale prodotto. Lo abbiamo incontrato mercoledì 15 al Cinema Massimo di Torino, dopo la proiezione del suo documentario.
Piero Cannizzaro con un velo di commozione spiega che è stato difficile montare il documentario e dover scegliere le parti da tenere di oltre quattro ore di intervista.
«Non mi interessava fare un percorso storico, ma volevo parlare dell’uomo, ecco il perché dell’uso dei piani ravvicinati che scrutano Agrippino quasi a volergli entrare dentro la mente con la macchina da presa.»
Gli abbiamo chiesto, visto il materiale a disposizione, se non avesse pensato di realizzare una fiction (di questi tempi così di moda, come le recenti fiction sugli anni di piombo realizzata dalla Rai):
«Credo che in Italia fare una fiction, di questi tempi, sia impossibile. Diventa tutto un’unica melassa che rende difficile fare un buon lavoro. Sto, invece, pensando a un proseguimento del lavoro con i figli di Agrippino – che compaiono alla dine del documentario – per vedere come la redenzione del padre abbia avuto un’influenza su di loro che sono diventati ballerini per la Scala e fanno diverse tourné in tutto il mondo.»
Il passato di Agrippino esiste nei suoi ricordi, dopo aver scontato la pena è tornato un uomo libero e ha trasmesso ai suoi figli (ben 9) l’importanza dell’arte, come terapia per curare l’animo.
«Per il mio documentario – continua Cannizzaro – ho dovuto fare una scelta, non credo si possa dire tutto, ho voluto semplificare e dare più spazio a lui, è stato interessante quanto Agrippino afferma, cioè che l’energia creativa impiegata da un artista per comporre una poesia o realizzare un dipinto è la stessa all’origine di un gesto di violenza, come un omicidio, ad esempio. Agrippino ha capito che l’arte poteva aiutarlo a indirizzare quell’energia in qualcosa di positivo, invece che volgere al peggio». Questa la sua redenzione.
Cristina Colet
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