Lyla è una ragazza di 17 anni alle prese con l’ultimo anno di scuola, un futuro incerto e una gravidanza inaspettata. Andando contro gli ideali della sua non-amorevole famiglia, decide di tenere il bambino, lasciarsi alle spalle la borsa di studio che aveva per il college trasferendosi da sua nonna. Qui comincerà una nuova vita per Lyla, che si troverà ad affrontare inattese responsabilità, spiacevoli eventi e nuovi amori. Questa è la sinossi di Petting Zoo, opera prima della texana Micah Magee che ritorna sui suoi luoghi d’infanzia per raccontare una storia che purtroppo rispecchia il quotidiano in queste zone degli Stati Uniti. Però, al contrario di altri autori quali Larry Clark, qui c’è la voglia di documentare lo spettatore e non di fargli provare ribrezzo mettendolo davanti a 10 minuti di monologo su come si praticano alcuni atti sessuali ( si, mi sto riferendo a Marfa Girl). Addirittura nei momenti di ascesa della combattiva Lyla, lo spettatore ha il piacere di gioire insieme a lei, grazie all’uso di piacevolissimi brani di alcuni grandi nuovi cantautori americani.
La fotografia, del tedesco Dierolf, nonostante la sua natura digitale mostra un’indubbia crudezza, con un’immagine che quasi sembra non aver ricevuto una colorazione in post produzione ed una compattezza dell’immagine che a volte lascia VOLUTAMENTE a desiderare (girato con la C300, la stessa de “La vita di adele” )
Un film fortemente sentito dall’autrice, che mostra un Texas diverso da quello che conosciamo, dove le scuole costruite dagli stessi architetti che hanno progettato anche le carceri, le strade polverose, alcune case-rulotte ridotte come maceria, diventano la casa della nostra Lyla, alla quale, a proiezione teminata, ci viene voglia di augurare il nostro meglio.
Alessandro Bertoncini
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