PIT STOP: intervista a Elisa Amoruso

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La regista di Fuoristrada risponde alle domande di CineFarm

elisa_amorusoElisa Amoruso, classe 1981, si è laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo all’Università La Sapienza di Roma e ha frequentato il corso di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ha scritto diversi corti e collaborato con i registi M. Ponti e C. Noce. Il 27 marzo è uscito nella sale italiane Fuoristrada, documentario che segna l’esordio di Amoruso alla regia di un lungometraggio. Film indipendente e originale, ha subito conquistato critica e pubblico. Abbiamo incontrato Amoruso, nell’officina romana dove lavora la protagonista del suo doc, per farle i dovuti complimenti, porle qualche domanda e con l’occasione dare un’occhio alle gomme.. 😉

Fuoristrada, la tua opera prima come regista, un documentario in presa diretta sulla controversa figura di Beatrice, ex Pino, meccanica romana, pilota di rally. Cosa ti ha colpito della sua storia e cosa volevi trasmettere raccontandola?
“Beatrice è carica di energia, ti travolge. Di prima, mi ha colpito il grande coraggio che ha dimostrato palesando la sua identità femminile, scegliendo di essere sincera con se stessa e di fronte agli altri. Conoscendola ho capito che nonostante questa decisione, Bea non ha rinnegato Pino, convive con entrambe le parti di se stessa, è una creatura molto interessante. Tuttavia non volevo focalizzarmi su di lei ma sull’unicità del suo rapporto con la moglie Marianna, descrivere il loro amore, che va oltre i generi e i ruoli. Il titolo, Fuoristrada, si riferisce soprattutto a questo. Come coppia hanno trasgredito ogni regola e canone eppure il sentimento che le lega è puro, ho sentito il bisogno di raccontarlo”.

Nell’affrontare un tema così particolare hai dovuto accettare compromessi, intendo, hai mediato tra la realtà e quel che mostri nel tuo documentario? Nel film, tutto sommato, le due protagoniste non risultano soffrire discriminazioni, l’ambiente attorno a loro è davvero tanto comprensivo?
“Certamente Bea è un personaggio sopra le righe, a volte eccessivo, ma come ho già detto Fuoristrada non è incentrato sulla sua personalità. Sapevo cosa volevo raccontare: il documentario esplora la bellezza di un sentimento, quello tra Bea e Marianna, che è confluito in un nuovo ménage familiare. Per quanto non convenzionale, la loro unione si fonda su dei principi sani, incredibilmente italiani e per trasmettere l’energia di questa famiglia, in fase di montaggio abbiamo scelto i momenti migliori. C’è una scena, quella del supermercato, in cui si coglie uno sguardo estraneo di forte disapprovazione. Nel doc si evincono anche altre problematiche con cui le due donne e il figlio Davide si scontrano quotidianamente, soprattutto nel rapporto con le istituzioni, in particolare con la scuola. La discriminazione c’è ma ho puntato a dare un messaggio positivo”.

Il film non ha ricevuto nessun finanziamento pubblico ed è prodotto in modo indipendente. Hai avuto difficoltà nel concretizzare il tuo progetto? Come hai incontrato i produttori, A. Covelli, R. De Paolis e C. Levi, e come è nata la vostra collaborazione?
“Fuoristrada ha avuto una lunga gestazione. Senza finanziamenti statali è stato difficile iniziare le riprese, continuavo a posticipare finchè non ho deciso di partire da sola. A. Covelli, sceneggiatore e collega, neo-fondatore della Meproducodasolo, ha creduto nel progetto e deciso di investire di tasca propria nella sua realizzazione. Dopo di lui sono arrivati R. De Paolis e C. Levi. Abbiamo formato una troupe giovane, 15 ragazzi appena usciti dal Centro Sperimentale di Cinematografia e lavorato tutti senza un compenso garantito. Per un bisogno registico, Bea e Marianna dovevano abituarsi alla presenza della telecamera, ho concentrato le riprese in 3 settimane, registrando continuativamente. Un vero tour de force!”

locandina_fuoristradaFuoristrada è stato dichiarato di interesse culturale dalla direzione generale per il cinema MiBAC. Cosa ha significato, per te, questo riconoscimento? E la Menzione Speciale della Giuria Prospettive Italia Doc al Festival Internazionale del Film di Roma?
“Ho dedicato due anni della mia vita a Fuoristrada e come me, tutta la troupe ha investito tempo e impegno. La montatrice, C. Griziotti, ci ha lavorato per sei mesi gratuitamente. Quando A. Covelli ha deciso di chiedere al MiBAC il riconoscimento dell’interesse culturale, non era scontato che venisse accordato. Non ci avevano finanziato e il tema del documentario era forse troppo particolare. Invece il film è piaciuto! Anzi, ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria Prospettive Italia Doc al Festival Internazionale del Film di Roma, a cui è seguita la proposta dell’Istituto Luce Cinecittà per la distribuzione, è candidato al Nastro d’Argento e ieri mi hanno telefonato per le selezioni del Globo d’Oro. Sono soddisfazioni che danno un senso ai sacrifici e un valore al lavoro svolto. Siamo molto entusiasti. ;)”

La tua carriera è iniziata come sceneggiatrice, hai scritto due corti, Aria 2005 e Adil e Yusuf 2008, e hai lavorato per C. Noce e M. Ponte. Cosa ti ha portato dietro la macchina da presa? Come ti sei trovata in questo nuovo ruolo da regista?
“Un passaggio determinato dal mio rapporto con la fotografia. Mentre lavoravo come sceneggiatrice, ho frequentato un corso di reportage e nel 2008 sono stata in Palestina, era l’anno dell’operazione Piombo Fuso. Un’esperienza durante la quale parole e immagini sono diventate complementari. Mi son resa conto che la staticità degli scatti era un vincolo, avevo bisogno di una storia, di non lasciarli sospesi. Nel 2010 ho vinto il premio Arco con il corto “Solo un Gioco” così da poterlo realizzare. Sul set mi sono trovata subito a mio agio, in fondo ero già stata fotografa di scena e aiuto regista. Sto seguendo lo svolgersi naturale del mio percorso.”

Ho letto che hai già in cantiere il tuo prossimo film, questa volta di finzione, un noir sul concetto del doppio. Quali difficoltà ritieni di incontrare in questo differente genere di lavoro?
“Il mio prossimo film ha una struttura complicata, un triangolo amoroso al cui vertice si trova un’eroina con una doppia identità, differente tra passato e presente. Non posso ancora sapere quali difficoltà incontrerò sul set ma sicuramente non voglio fare un film freddo. “Fuoristrada”, in quanto documentario, porta sullo schermo la vita e le emozioni delle persone che racconta mentre in un’opera di finzione spetta a me ricreare un contenuto che abbia la stessa intensità. Per fortuna il cinema è un mestiere collettivo, gli attori e la troupe contribuiscono, ognuno con il proprio bagaglio, alla sua riuscita. Uno dei ruoli del regista è quello di tenere insieme i pezzi e fare in modo che questi combacino.. direi anche, scoprire i talenti e portarli alla luce conservando l’armonia d’insieme. Vorrei lavorare con una troupe ridotta, intima.”

In Italia, purtroppo, il cinema indipendente fatica a trovare finanziamenti e, nel caso, adeguata distribuzione. Cosa vorresti dire ai giovani aspiranti registi che vogliono intraprendere questa carriera?
Fuoristrada testimonia che le buone idee, se c’è la volontà, si possono realizzare. Non servono mezzi eccezionali per girare, la tecnologia a nostra disposizione ci permette di raggiungere il risultato con poco. Ad esempio, se una volta il montaggio veniva eseguito in moviola, oggi i programmi utilizzati sono facilmente reperibili, non volgio dire craccabili ma quasi. Fuoristrada è costato circa 23.000 euro, non ha ricevuto finanziamenti pubblici e tutti abbiamo lavorato senza la garanzia di un compenso. I festival, la critica e il pubblico ci stanno ripagando.. Siamo alla terza settimana di programmazione al Nuovo Cinema Aquila di Roma. Crisi o meno, se credete nel vostro progetto non abbandonatelo!”.

Ringraziamo Elisa Amoruso per la sua disponibilità e vi invitiamo al cinema, Fuoristrada merita!!

Zelia Zbogar

 

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