Rebecca Hall miglior attrice al TFF 34 per Christine

“If it bleeds, it leads”. Antonio Campos porta sul grande schermo il racconto di uno dei gesti più significativi e disperati nella storia dei media.

Rebecca Hall vince il premio Miglior Attrice al Torino Film Festival 34 per Christine di Antonio Campos con la motivazione L’attrice, con una fortissima presenza scenica e le molte sfumature della sua performance è riuscita a ritrarre perfettamente un personaggio commovente che è in conflitto emotivo con se stesso. Nel film, Hall interpreta la reporter televisiva Christine Chubbuck che il 15 luglio 1974 si tolse la vita in diretta televisiva con un colpo di pistola alla testa compiendo uno dei gesti più significativi e disperati nella storia dei media.

In linea con la politica di Channel 40 che intende portarvi le ultime notizie di sangue e violenza, disse Chubbuck, state per assistere a un’altra anteprima: un tentato suicidio, e poi premette il grilletto. Fu una denuncia contro il crescente sensazionalismo televisivo e fu l’espressione di un’angoscia profonda, del male di vivere. Fu un gesto tanto consapevole da essere preceduto dalla richiesta che la trasmissione fosse registrata perché la reporter potesse inserirla nel suo archivio. Ne rimane quindi prova tangibile e riproducibile, anche se il proprietario della rete televisiva la tiene sotto chiave e nessuno, a parte la troupe in studio e le poche centinaia di spettatori sintonizzati quel giorno, l’hanno mai vista.

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Campos lascia a bordo film ogni riferimento alla lunga depressione di Chubbuck per concentrarsi sul conflitto tra la sua volontà di stringere un legame significativo con la realtà, di raccontarla, e l’incapacità di viverla. Si chiude tra lo studio televisivo e l’abitazione, resta sui personaggi, esplora tutti i rapporti umani cui Chubbuck non sapeva concedersi. Ritrae una donna spietata con se stessa e compressa in un ruolo professionale che non lascia spazio alla vita privata. Chubbuck a 29 anni era più in gamba di tutti i suoi colleghi e nonostante questo inadeguata, una che non buca lo schermo. Non solo, era vergine e viveva a casa della madre in una cameretta arredata come quella di una liceale. Di fatto ha rifiutato, da reporter, la televisione che si distrae dai problemi della condizione sociale per fare intrattenimento e rivendicato lo spessore morale del proprio mestiere.

Christine non è l’unico film del 2016 a esplorare il caso di Christine Chubbuck. In concorso nella sezione Festa Mobile del TFF 34, Kate Plays Christine è un lavoro tra documentario e finzione che ripercorre la vicenda da una prospettiva più intima e attualizzante. Il regista Robert Greene scrittura l’attrice Kate Lyn Sheil per interpretare un biopic sulla Chubbuck e poi la segue nel processo di avvicinamento al personaggio, mentre visita i luoghi e incontra le persone che l’hanno conosciuta. Sheil mina fin da subito l’autorità di Greene, mette in discussione la messa in scena e ne propone una costante rilettura. È una lotta intestina in cui Greene e Sheil vivificano il conflitto di Chubbuck tra una deriva sensazionalista e la propria integrità professionale.

Nelle ricerche precedute a Kate Plays Christine Greene ha rintracciato il filmato originale registrato la mattina di quel 15 luglio 1974 e confessato il desiderio di vederlo: «Guardiamo le immagini convinti che possano rivelarci qualcosa di più profondo di quel che immaginiamo, qualcosa che altrimenti non potremmo mai scoprire» ma poi ha continuato «Eppure il fatto che lei volesse essere ripresa e vista nell’atto di uccidersi mi disturba. Era una donna che aveva bisogno di aiuto non di essere mitizzata». Così Chubbuck ha sollevato, anticipandolo, il dibattito sull’etica dei contenuti e sull’anestesia dello sguardo moderno. Il suo suicidio è la denuncia di un vuoto, della privazione di senso in favore dello scalpore delle immagini.

Zelia Zbogar

 

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