Ritual – Una storia psicomagica. Intervista ai registi

Giulia Brazzale e Luca Immesi ci raccontano il loro esordio cinematografico

locandina_ritualRitual – Una storia psicomagica… Una storia drammatica e magica allo stesso tempo. Un racconto, di forte impatto emotivo, che angoscia e fa sorridere.
Ma, abbiamo fatto alcune domande proprio a chi questo racconto l’ha scritto e diretto: Guilia Brazzale e Luca Immesi.

Ritual – Una storia psicomagica, il vostro lungometraggio d’esordio come registi cinematografici… Come e quando nasce questa storia?
G.B.: “L’idea nasce qualche anno fa, dalla lettura di “La danza della realtà” di Alejandro Jodorowsky. Nel libro vengono descritti vari rituali psicomagici, azioni che si compiono per parlare al proprio inconscio, con lo scopo di curare traumi passati.
Ci colpì particolarmente uno di questi riti, che vedrete rappresentato in una delle scene finali del film. Un rito che parla di nascita e di morte e che coinvolge la protagonista Lia. Compiendolo, la donna vuole liberarsi da un suo profondo senso di colpa.”

Una storia drammatica, vista in chiave magica… un modo originale di trattare un argomento molto delicato. Rituali che affascinano e spaventano… come nasce il personaggio di “zia Agata”?
L.I.: “Il personaggio di zia Agata nasce direttamente dai libri di Jodorowsky: “Psicomagia” e “La danza delle realtà” e dalle leggende e tradizioni popolari venete. É la commistione di questi due filoni che dà vita al complesso personaggio di Agata. Nel personaggio della zia, i lettori dei libri di Jodorowsky ritroveranno anche per alcuni aspetti Paquita, la curandera messicana da cui Jodorowsky aveva appreso alcune tecniche di guarigione. Anna Bonasso, di origini venete ma con esperienze internazionali, ci sembrava l’ attrice perfetta per il ruolo. Inoltre avevo lavorato con Anna in uno dei miei primi cortometraggi e le avevo detto che se avessi fatto un lungo l’avrei chiamata. E così, a più di dieci anni di distanza, le ho proposto il ruolo di Agata e lei ha subito accettato.”

ritual grab_1.91.1Ritual è la vostra opera prima, ma non è la prima volta che lavorate fianco a fianco alla regia… cosa significa dirigere in due un lavoro e, soprattutto, com’è stato farlo in quest’occasione? Come vi siete suddivisi i compiti nel gestire i vari reparti?
G.B.: “Noi amiamo definirci filmmaker. Siamo assolutamente complementari nel lavoro. Anche in questo film, oltre che della regia in senso stretto ci siamo occupati di tutto il resto, non sto parlando solo della scrittura (Ritual l’abbiamo scritto assieme con la supervisione di Jeff Gross, uno degli sceneggiatori di Roman Polansky) ma anche di tutte le altre mansioni, dalla scelta delle location alle scenografie, dal casting alla ricerca dei props.”

L.I.: “Ci fidiamo l’uno dell’altra. Le inquadrature le concordiamo sempre assieme. Dirigevamo entrambi gli attori, se la scena non ci sembrava convincente fornivamo ulteriori informazioni e direzioni, anche apportando delle modifiche ai dialoghi, che a volte suonano diversi sul set che sulla carta. Ci siamo trovati a dover risolvere migliaia di problemi pratici durante le riprese, tra cui riscrivere al volo alcune scene, perché impossibilitati all’ultimo momento a girare in alcune location. Ad esempio dovevamo girare all’ interno di una chiesetta ma la proprietà ci aveva simpaticamente negato l’ accesso con un catenaccio così ci siamo inventati che la protagonista bambina spiasse dalla porta d’ entrata. Alla fine, la scena risulta forse più suggestiva.”

G.B.: “Siamo andati sempre d’accordo.  Solo un giorno abbiamo avuto delle divergenze, quando Viktor in una delle scene finali “imbratta”, diciamo così, il pavimento della camera da letto. Io volevo che venisse subito pulito, Luca no, non si poteva spostare nulla, ed io ero assolutamente contrariata. Ora capisco che in quel momento era stata fortemente turbata la mia sensibilità di donna. Vedendo il film capirete a cosa mi riferisco.”

Una fotografia sapientemente curata… com’è stato il rapporto con il reparto fotografico, in particolare con l’autore della fotografia?
L.I. “Luca Coassin, direttore della fotografia di grande esperienza, ha fatto un ottimo lavoro. Dal punto di vista tecnico avevamo ciò che di meglio c’era per girare: un set di lenti zeiss master primes e la prima Red Epic X in Italia. Quindi eravamo sicuri che sarebbe venuta fuori una fotografia di grande impatto. Mentre dal punto di vista emozionale volevamo raccontare luci e ombre, anche attraverso alcune immagini distorte (abbiamo usato un fisheye per alcune inquadrature) della protagonista. Volevamo descrivere con la fotografia il suo viaggio, la sua percezione, il suo mutamento. Nel film ci sono molte immagini che riconducono alla simbologia della donna.
Molti movimenti di camera richiamano la simbologia della nascita, del venire al mondo. Oltre a ricordare la shakeycam di Sam Raimi.”

ritual grab_1.789.1Per la prima volta sul set per un lungometraggio… cosa ci raccontate di questa esperienza? C’è qualche aneddoto, qualcosa d’imprevisto che è avvenuto sul set che vi va di ricordare?
G.B.: “È stata dura, massacrante. Nella location principale, una villa del ‘700, in agosto, con i riflettori accesi, c’erano 50 gradi centigradi. Alla fine delle riprese, proprio perché, come dicevo prima, ci siamo approcciati al film credendo di poter risolvere ogni problema pratico da soli, eravamo stremati. Nonostante lo sforzo è stata una delle esperienze più belle della nostra vita. Appassionante dal punto di vista creativo e intensa dal punto di vista umano. Non smetteremo mai di ringraziare la nostra ineguagliabile troupe a cui abbiamo rivolto la nostra prima dedica, nei titoli finali del film. Siamo vissuti tutti assieme per più di un mese e abbiamo concluso la nostra avventura assieme con un falò ed un rito propiziatorio attorno al fuoco.

La cosa che mai scorderemo è quando siamo stati chiamati dal pronto soccorso di Thiene, mio figlio Nicola Arabi, il salbaneo del film, finito di girare le sue scene si era dedicato alla costruzione di ordigni esplosivi. La sua ultima creazione era una bomba fatta con 40 petardi pressati in un barattolo per le bolle di sapone. La bomba gli era scoppiata in mano. Io sono corsa al pronto soccorso abbandonando il set. Il chirurgo mi ha fatto sedere. Nicola aveva sulle gambe e sulle mani decine di ferite lacero contuse. Fortunatamente il ragazzino portava gli occhiali e anche le dita erano rimaste tutte al loro posto, a parte qualche virile cicatrice non ha avuto nessun’altra conseguenza.

Un’altra curiosità, è la scomparsa di Gaetano, la bambola del film, non l’abbiamo mai più ritovato e ancora adesso ci chiedamo chi l’ abbia rapito.”

Vi siete occupati di tutte le fasi di questo film in prima persona, dalla scrittura al montaggio, un impegno completo. Presto l’uscita in sala… cosa via aspettate? Come pensate reagisca il pubblico italiano a Ritual?
L.I.: “All’estero il film ha raccolto buone recensioni e riceviamo tutt’ora email di spettatori che l’ hanno guardato e ci dicono che hanno sognato molto la notte dopo averlo visto. Altri ci confidano di aver compiuto  degli atti psicomagici, sempre dopo la visione del film. Uno spettatore danese ci ha scritto che aveva seppelito il teschio di un caprone in cima a una collina per liberarsi dal peso della figura paterna. Sicuramente era nostra intenzione fare un film che parlasse all’emisfero destro del cervello, quello creativo. Speriamo di far sognare il pubblico italiano, ma questo potranno dircelo sono gli spettatori.”

Avete già in cantiere un altro film? E, in ogni caso, pensate di continuare con la co-regia?
G.B.: Sì. “Abbiamo parecchi progetti in cantiere ma quello che ci coinvolge entrambi è una favola iniziatica che vorremmo girare a breve assieme.”

Ringraziamo  Guilia Brazzale e Luca Immesi e ricordiamo a tutti che Ritual – Una storia psicomagica sarà in sala da giovedì 8 maggio.

Rita Russo

 

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