La scorsa settimana abbiamo parlato dell’opera prima di Nicola Campiotti, un film di denuncia sociale, con un altissimo valore culturale, che racconta un viaggio attraverso l’Italia di oggi.
Il film è in sala, grazie a Distribuzione Indipendente, da giovedì 20 novembre.
Questa settimana, abbiamo voluto ascoltare le parole di chi questo film lo ha voluto e vissuto: il regista e il suo piccolo protagonista.
Elia Saman ci ha risposto così….
Elia, sei il promotore di un messaggio di elevato valore culturale, educativo e sociale… come hai vissuto questo ruolo così importante?
Sono felice di essere portatore di questo messaggio. Il messaggio forse più importante è quello che mi dice il giullare: “l’anima di un luogo cambia e muta per come è governata, per come vien tenuta”. Vuol dire che ognuno può fare la differenza. Giusto no?
Cosa vorresti aggiungere se potessi dire qualcosa a chi ha guardato o guarderà Sarà un Paese?
Mi piacerebbe che chi vedesse il film seguisse bene tutti gli svolgimenti, tutti questi avvenimenti che accadono nel film. La cosa che mi piacerebbe di più poi è che qualcuno imparasse qualcosa da questo film.
Nicola Campiotti ci ha parlato di come è nato il film e di come è stato realizzato…
Sarà un Paese… un viaggio nell’Italia di oggi attraverso gli occhi di Elia, un bambino curioso e indagatore… un percorso che fa riflettere, un film con un altissimo valore sociale. Come e quando nasce questo film?
“Questo film nasce da un’urgenza civile più che cinematografica. Il mio paese è stato abbandonato dai miei più cari amici che se ne sono andati a studiare o a lavorare altrove. Mentre accadeva questo, sono arrivati nella mia vita tre fratellini mulatti dal secondo matrimonio di mio padre. Mi sono chiesto: cosa insegnerò loro e, di contro, cosa spinge i miei amici ad andarsene? Da queste domande nasce Sarà un paese un film che è un percorso di formazione che parte dal Mito, attraversa la Realtà e sfocia nell’Immaginazione. Il diritto al lavoro, il rispetto e la tutela per il paesaggio e l’ambiente; il diritto di cittadinanza, il senso del limite, il valore del coraggio e il rispetto delle regole; l’apertura alla conoscenza e all’incontro di culture e credenze diverse, la Costituzione della Repubblica, gli esempi di Buon Governo… sono alcuni dei temi che volevo trattare per ricominciare a costruire un paese diverso, migliore e più civile.”
Un film ritenuto di “interesse culturale” dal MiBACT e sostenuto da UNICEF Italia… che è rientrato nelle proposte AGISCUOLA per l’anno 2014-2015. Come mai la scelta di un’opera prima così coraggiosa e con una responsabilità educativa così elevata?
“Il cinema per me è prima di tutto una responsabilità. Verso il mio paese, verso i miei interlocutori, verso i miei spettatori. Io faccio cinema perché, con umiltà, voglio contribuire a trasformare il dolore (di una famiglia, di un luogo, di un’ epoca) o l’inciviltà (di una classe dirigente) in qualcosa di diverso, di più luminoso e civile. Sarà un paese è la storia di un viaggio alla ricerca di un nuovo alfabeto con il quale tentare di ripartire. Sono grato all’Unicef per aver scelto questo nostro lavoro per festeggiare i 25 anni della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.”
Questo è un film tra realtà e “finzione”… quanto tempo è stato necessario a realizzarlo? Quali sono state le principali difficoltà?
“Il film è il frutto di tre anni e mezzo di lavoro.
Abbiamo raccolto oltre 120 ore di materiale. Per montarlo abbiamo impiegato nove mesi, lavorando tutti i giorni a tempo pieno.
Le difficoltà principali sono state conciliare l’assetto creativo (libero, on the road, sempre alla ricerca di una storia da raccontare) a quello produttivo (il piano di lavoro da consegnare al Ministero, far quadrare i costi e gli accordi).
Per quanto riguarda l’aspetto formale aggiungo che il film è nato con questa doppia anima: da una parte dare vita a degli incontri assolutamente spontanei e diretti, che abbiamo ripreso nello spirito del cinema del reale, senza intervenire in nessun modo né sulla luce né sui testi, e dall’altra degli incontri costruiti come delle scene vere e proprie, con degli attori e dei movimenti di macchina concordati. Le due scene che rispettivamente per me rappresentano al meglio questa doppia natura del film sono l’incontro con la famiglia egiziana e il sogno dei giovani in partenza. La prima è il frutto di un incontro che non avevamo preparato e che è accaduto quasi come un dono: testimoniare un confronto spontaneo e toccante sul delicato tema degli immigrati di seconda generazione. Ci siamo messi a riprendere immediatamente, con due camere, consapevoli che stava accadendo qualcosa di straordinariamente vero e intimo. La seconda l’abbiamo girata con una macchina Red quasi come se fosse un cortometraggio a sé. Avevo le idee cosi chiare di come la volevo che l’abbiamo montata in poche ore”.
È uscito in sala giovedì 20 novembre… qual è stata la risposta di pubblico finora e cosa si aspetta?
Auguro a questo film un cammino lento e lungo.
Spero che il pubblico possa capire che alla base del lavoro c’è un grido di urgenza verso il cambiamento e speranza nelle possibilità di ciascuno di noi di migliorare con le nostre vite il paese in cui abitiamo. Stiamo ricevendo molte richieste da parte di professori e maestre che vogliono mostrare il film ai loro ragazzi. Unicef e Libera ci stanno aiutando a farlo circolare in tutta Italia.
Sta già pensando a un secondo progetto? E, comunque, pensa di continuare su questo tipo di filone… di film sociale?
Si sto scrivendo un nuovo film. Al centro c’è un tema di denuncia e di riflessione sociale. Non potrebbe essere altrimenti.
Rita Russo
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