SLOW WEST: Un western dolce amaro, l’esordio di John Meclean

Fotografia, musica e autenticità si uniscono a comporre un’ intensa e gradevole melodia che si presenta come piacevole sorpresa nell’esordio del musicista scozzese che sceglie di cimentarsi, con ottimi risultati, nella regia.

Gran Premio della Giuria al Sundance Festival del 2015 (sezione Dramatic), il musicista John Meclean esordisce alla regia con un western raffinato e arricchito da tematiche esistenziali e profonde.
Girato in Nuova Zelanda e in Scozia, il film è ambientato nel Colorado del 1870.

Si percepisce fin dall’inizio del film, l’animo da musicista dell’autore. La musica accompagna lo scorrere delle belle immagini sottolineandone il tenore emotivo e la sua evoluzione e assumendo sempre un ruolo centrale nell’opera, per quanto non invasivo, anzi, in alcuni momenti si inserisce come una piccola fonte di calore prezioso che esalta il valore della scena.
Emblematica in questo senso la scena dei sue protagonisti che incontrano nel loro percorso, un piccolo gruppo di contadini di colore che donano il loro canto e che paiono fondersi perfettamente con la natura che li circonda come fossero parte del paesaggio.
Altro elemento utilizzato efficacemente, è la voce fuori campo, che si inserisce discretamente nei momenti opportuni e che nella sua pacatezza e sobrietà, è in qualche modo rassicurante, infondendo distensione al racconto.

Maclean sembra fondare gran parte del suo lavoro sull’autenticità, che oltre ad essere esaltata da una meravigliosa fotografia ritraente una natura e dei luoghi in perfetta sintonia con le vicende narrate, emerge chiaramente dalla caratterizzazione dei suoi personaggi, ognuno dei quali appare naturale e genuino nelle sue fattezze, nell’agire e nell’esprimersi; i due protagonisti sono entrambi figure forti, intense che riempiono la scena, colpiscono entrambi, nonostante presentino caratteristiche opposte nel loro essere eroi, per l’intensità e la presenza scenica che contraddistinguono il loro personaggio.
Di Jay rapisce l’innocenza, l’ingenuità, la curiosità, accompagnata alle altrettanto disarmanti, determinazione e forza d’animo, che non crollano mai, che non sono mai sopraffatte dalla paura o minate dal minimo dubbio di voler raggiungere il suo scopo, puro e nobile quanto lui.
Uno scopo che è il filo conduttore di tutto il film e gli conferisce un respiro e un senso di speranza verso l’uomo, verso la vita, una fede incondizionata nel proprio sentire e di conseguenza nell’effetto che questo ha sugli altri e sul mondo, che avvolge e in qualche modo rassicura lo spettatore.
Una fiducia contrastata dal disincanto e dalla disillusione che altrettanto egregiamente esprime Silas, rozzo e solitario cowboy dal cuore apparentemente imperturbabile e rassegnato alla meschinità del mondo, interpretato dall’ottimo Michael Fassbender, che ha talmente bisogno di una condivisione e di un affetto ai quali ormai non crede più da tempo, da respirare come fossero ossigeno, la vicinanza e il candore del suo giovane compagno di viaggio.
Ci viene descritto un mondo cinico, violento e egoista, dove il denaro e il proprio tornaconto personale prevalgono su qualsiasi cosa, sull’umanità, sulla morale, su qualsiasi rispetto per la vita umana, un mondo che non è poi così dissimile da quello che ben conosciamo, che nonostante vediamo qui rappresentato in un tempo e in un ambientazione ormai lontani da noi, ci è tristemente familiare, perché purtroppo caratterizza la specie umana e non il tempo o il contesto in cui vive, che può essere raccontata nell’egoismo e nell’avidità di chi, nel 1800, colonizzando il Nuovo Mondo, spazza via senza ritegno chi ci è nato e già ci vive, solo perché lo disturba, e che ammazzerebbe chiunque gli si trovi davanti pur di appropriarsi delle sue risorse, per quanto esigue possano essere, ma che non avremo nessuna difficoltà a descrivere esattamente nello stesso modo semplicemente cambiando i nomi e le posizioni del racconto, spostandoci più volte nel tempo e nello spazio, fino ai giorni nostri, dove purtroppo, non si può che amaramente constatare come da questo punto di vista non ci sia stata la minima evoluzione.
E quindi, così come nel film, alla fin fine, non si va a trovare una realtà tanto migliore spostandosi da est a ovest, al massimo si passa da “violenza e dolore” a “sogni e fatica”, pregni di altrettanti violenza e dolore, così accade in tutte le altre epoche e contesti vissuti dalla nostra ingrata specie.
Molto bella la scena in cui quasi alla fine, un po’ come triste e ineluttabile constatazione, vediamo in successione e in assoluto silenzio, tutti i cadaveri seminati lungo il percorso del racconto.
Ma il valore dell’opera di Maclean sta nel fatto che questo mondo così poco attraente e questo suo abitante umano così infimo, ci vengono mostrati attraverso degli occhi innocenti, di chi nonostante tutto continua a credere nella vita e nell’amore fino alla fine, contro qualsiasi razionale aspettativa o prospettiva, contro ogni realizzazione amara di quale sia la realtà, perché , magari anche quasi sicuramente no, ma se c’è anche solo una possibilità che esista un luogo in cui è possibile fidarsi di un proprio simile, in cui è possibile amare ed essere amati, costruire e portare avanti i propri sogni e i propri desideri, allora vale la pena lottare e fare appello a tutte le proprie forze e anche a quelle che non sia hanno o non si sa di avere, pur di raggiungerlo e farlo proprio.
Una storia semplice, priva di abbellimenti e fronzoli, anche abbastanza prevedibile se vogliamo, che non apporta certo elementi di innovazione, ma che con gli strumenti che ha a disposizione, esprime e trasmette tutti i sentimenti di cui è pervaso, con un’intensità e un calore che sono più che sufficienti a rendere l’opera una visione appagante, evocativa e emotivamente coinvolgente.

Roberta Girau

 

You must be logged in to post a comment Login

Leave a Reply