Dopo il realismo di Là bas, 2011, Guido Lombardi cambia registro e ci presenta Take Five. Abbiamo incontrato il regista al cinema Beltrade di Milano, accompagnato dal produttore, co-sceneggiatore, attore e amico Gaetano Di Vaio. Il loro sodalizio artistico dura da diversi anni e in questa gangster story napoletana hanno messo in scena una rocambolesca rapina, organizzata, o forse improvvisata, da cinque uomini che hanno poco in comune. È un film low budget e indipendente che entrambi hanno voluto realizzare con attori non del tutto professionisti. Nel cast, oltre al piccolo Emanuele Abbate, il ragazino reclutato direttamente dai Quartieri Spagnoli (un dedalo di vie poco raccomandabili nei pressi del centro di Napoli), ci sono lo scrittore Giuseppe Lanzetta, Salvatore Ruocco, Salvatore Striano, Carmine Paternoster e lo stesso Di Vaio. Alcuni di loro hanno realmente un passato criminale alle spalle. Come Striano che si è avvicinato alla recitazione nel carcere si Rebibbia ed è il protagonista di Cesare deve morire dei fratelli Taviani girato nello stesso penitenziario. Ecco la nostra chiacchierata..
La scrittura del film è durata sei anni. Cosa è rimasto e cosa è cambiato nel tempo?
“Sono rimasti gli attori. Il cast è arrivato prima della sceneggiatura ed è stato il punto fermo attorno al quale ho costruito il film. Io e Gaetano abbiamo attribuito i ruoli di pancia, molto prima di avere una stesura definitiva. Mentre in corso d’opera è cambiata la caratterizzazione dei personaggi. Inizialmente ognuno doveva interpretare se stesso, in linea con la tendenza neorealista della cinematografia italiana, poi l’ambiente “Gomorra” è diventato solo uno sfondo e ho aggiunto molti elementi di finzione. Forse non lo sai, ma anche il regista in origine era un altro, ovvero Abel Ferrara.”
Come hai lavorato con gli attori dopo questa trasformazione delle parti?
“Arrivare ai personaggi non è stato facile. La recitazione è un elemento portante perché gran parte delle scene si svolge in un unico ambiente, l’appartamento di Sasà. Tutto doveva essere curato al dettaglio. Prima delle riprese abbiamo provato le parti e i movimenti di macchina per quattro settimane, direttamente sul set. Con gli attori sono partito dalla postura del corpo e dal trucco, poi insieme siamo arrivati alla mimica e al tono della voce. Ad esempio per l’idraulico, ambiguo e dimesso, ho giocato con un paio di occhiali da vista e con un braccio ingessato. Così ho aiutato Carmine a entrare nella parte.”
A cosa rinuncia un film low budget?
“Al tempo. Spesso è in fase di montaggio che si capisce cosa funziona di più e cosa di meno. Sarei voluto ritornare su alcune scene, ma non ne ho avuto la possibilità. Quasi tutto il film è in presa diretta. Non dico che è stato un “buona la prima” continuo, ma quasi [ride].”
Parliamo di Là Bas, un lavoro diverso..
“È un film di finzione, ma parte da un lavoro di pedinamento e documentazione. Ero un operatore freelance e lavoravo per diverse discoteche. Due ragazzi africani mi hanno chiesto di filmare le feste e i concerti della loro comunità. Così ho scoperto un pezzo d’Africa a 20 km da Napoli, a Castel Volturno. Ho ascoltato tantissime storie e ho cercato di metterle insieme per costruire il viaggio archetipico di un eroe migrante. Al di là della specificità africana. È una sorta di parabola che inizia con l’abbandono della propria terra, passa attraverso l’emarginazione e finisce nell’espediente criminale. È comune a molti popoli e a noi italiani per primi.”
Dopo il Festival Internazionale del Film di Roma Take Five ha faticato un anno per uscire al cinema. Perché?
“È un film sui generis. Purtroppo se non rientri in determinati parametri commerciali quando costruisci il film è tutto molto complicato. Il cast e l’ambientazione sono due elementi discriminatori. Se avessi scelto degli attori più famosi probabilmente sarei uscito in trecento sale e non in trenta, ma sarebbe stato un compromesso. Mi hanno proposto di girare a Roma per usare un dialetto più caro al pubblico e più comprensibile, di scritturare Gerard Depardieu (con cui ho anche parlato al telefono) o Riccardo Scamarcio. Ma non sarebbe più stata la mia storia.”
Zelia Zbogar
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