John Hollar è un artista di New York costretto a tornare nella piccola città della provincia americana che ha lasciato da tempo, nel momento in cui riceve la notizia della malattia di sua madre. Dopo essere tornato nella casa in cui è cresciuto, John rimane immediatamente coinvolto, suo malgrado, nei problemi della sua famiglia disfunzionale, ritrova un vecchio “rivale” di quando era al liceo e la sua ex fidanzata particolarmente esuberante, tutto questo mentre la sua ragazza, a New York, sta per avere un bambino e lui sta per diventare padre.
Il film ci viene presentato con il titolo “The Hollars”, ma chi sono i membri di questa famiglia? La versione aggiornata dei Baylor di Elizabethtown di Cameron Crowe?
Ce lo spiega John Krasinsky che porta il suo film d’esordio alla regia alla Festa del cinema di Roma che in questa edizione ha racchiuso una selezione di film che stanno ridisegnando il mito della famiglia. Qua non ci sono fratelli ne che si sparano come nel bellissimo The Accountant di Gavin O’Connor, ne tantomeno che rapinano insieme banche come gli Howard brothers di Hell or High Water, ma sono piuttosto come Lee e Joe Chandler di Manchester by the Sea. Lonergan racconta di una famiglia che si era sgretolata ed ora naviga tra le acque del Massacchuset per ritorvarsi, quella di Krasinski è invece una famiglia che deve ancora nascere. Il rapporto con la madre è solido, ma si celano ancora dei segreti. Don Hollar non sapeva nemmeno che uno dei suoi figli aveva la fidanzata al liceo e prende il suo primogenito a lavorare con sé giudicandolo incapace: a metterlo in scena c’è un magistrale Richard Jenkins che fa trasparire tutto il senso di fallimento, di delusione verso se stesso quando gli viene consigliato di dichiarare banca rotta con la società che ha gestito per tutta la sua vita. Qui Krasinski fa nascere davvero il film: sposta l’uomo e mette a capo famiglia una donna, per giunta in punto di morte: Sally Hollar, interpretata da una pazzesca Margo Martindale. Corpulenta e bellissima gestisce tutte le dinamiche dal letto, stabilendo una scala gerarchica su chi deve badare a chi nel caso del suo decesso ed arresta ogni accenno di disperazione del marito. Insieme a lei c’è un’altra donna magnifica: Anne Kendrick, la fidanzata di John, che dentro di sé porta due gemelli. L’avevamo già vista in una situazione simile in 50/50, innamorata persa di Joseph Gordon Levitt affetto da cancro, ed in tutti e due i film rappresenta la strada per la salvezza. Rebecca sa che gli Hollars devono ancora maturare, i due figli sono dei bambini nei corpi di due trentenni, John esprime se stesso attraverso i disegni sino a quando non vede davanti a sé la lastra del tumore al cervello della madre, devono staccarsi dal grembo materno, di conseguenza è lei a donare loro un nuovo amore, come recita il titolo della canzone del bravissimo Josh Ritter, strepitoso cantautore americano che per la prima volta accompagna quasi un intero film con i suoi brani, per la maggior parte presi dal suo penultimo album “The Beast in Its Tracks” realizzato dopo il divorzio dalla moglie.
Gli Hollars pisciano nel contenitore del succo di frutta perché il bagno è occupato, trascurano ogni sintomo di malattia e da lontano spiano un passato che tentano disperatamente di recuperare, come Ron che per vedere le figlie si intrufola nella loro camera di notte passando per la finestra perché la ex moglie non gli fa vedere i figli abbastanza, e fa sposare John e Rebecca dal nuovo compagno della ex… che fa il prete.
The Hollars è una delle migliore cose viste qui alla festa, poteva essere un film praticamente perfetto se non fosse per una fotografia che fa rimpiangere il Duccio di Boris, ma, a parte questo, non si poteva desiderare esordio migliore per un grande attore/sceneggiatore che ha saputo evitare ogni indirizzo melenso e strappalacrime su una sceneggiatura rischiosa, ma per questo noi gli vogliamo ancora più bene.
Alessandro Bertoncini
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