The Night (titolo originale Ye), Cina 2014, di Hao Zhou, presentato lo scorso novembre alla Berlinale, sezione Panorama e successivamente in concorso al Hong Kong International Film Festival. Il regista, classe 1992, ha frequentato il College of Media and Arts at the University of Post and Telecommunications in Chongqing, Cina, ed è anche montatore, sceneggiatore, attore protagonista e set designer del film.
The Night si è fatto notare in entrambi i Festival per la giovane età del suo regista quanto per la spregiudicatezza con cui affronta il problema della prostituzione giovanile, sempre più diffusa nelle metropoli orientali. Il film è incentrato sulla provocazione, Zhou con cinismo e disinvoltura racconta fin nei minimi dettagli la quotidianità di tre ragazzi poco più che ventenni, abituati a vendere il proprio corpo come se si trattasse di un oggetto altro, non di sè stessi. Il protagonista, Tuberose, Hao Zhou, è un Money Boy intrigante e dall’animo tormentato, che ostenta sicurezza in opposizione alla vacuità della sua bellezza. Rose, Li Jin Kang, è innamorato di lui ma, ossessionato dal desiderio, troppo fragile per conquistarlo. Narcissus, Liu Xiao Xiao, bilancia nel triangolo amoroso tra i tre, sembra essere in balia degli eventi eppure vi si adatta senza scomporsi.
The Night è un film accattivante, che prende a modello il Wong Kar Wai di Fallen Angel (Hong Kong 1995), cult di nicchia, introspettiva nera e ironica nella vita surreale di due sicari di professione. Zhou ha un’estetica sensuale, ricrea atmosfere sordide dai toni fumosi e dai rossi accesi, evocate da un passato caro alla Cina coloniale quanto alla Parigi degli anni ’30. Si direbbe che l’occhio del regista non sia a mandorla ma piuttosto europeo, fine e classico.
Zhou predilige gli ambienti ristretti quasi claustrofobici e il vicolo in cui sono girate la maggior parte delle scene è così intimo da ricordare una scenografia teatrale. Per contro, la varietà delle riprese è ampia. Zhou utilizza il bianco e nero, il seppia, il colore HD e il colore sgranato; satura il rosso e gioca con luci, ombre ed esposizione. Come se truccasse le immagini per renderle adeguate al momento narrativo, cerca una continuità di senso tra forma e contenuto, soprattutto in relazione agli stati d’animo del protagonista.
Tuttavia non si abbandona alla sperimentazione e mantiene un’impostazione scolastica. Una predisposizione in antitesi con il tema affrontato e che rende statico il film, che a tratti ricorda un fotoromanzo, eventualmente omaggio a Tom Ford. Zhou predilige la camera a mano e le prospettive, mutevoli, da cui inquadra le scene non sono scontate. Il punto di vista continua a cambiare, dalla soggettiva di un cliente, a quella di uno specchio, passando da visioni dall’alto o alle spalle. I personaggi sono spiati, costantemente esposti a un giudizio, ripresi da ogni angolazione ma mai per quello che sono. Un dramma sviscerato più nella tecnica che dalla sceneggiatura, spesso poco credibile. La colonna sonora, suono di Yang Zhang Wen, propone brani di Teresa Tung, love songs from Taiwan, in contrapposizione allo svilimento del sesso a pagamento. Tuberose le ascolta ossessivamente, quando solo si abbandona al più disperato narcisismo, sua unica consolazione.
Un film ben confezionato ma non d’impatto, dagli eccessi non autentici. Hao Zhou, gìà autore di due documentari, Long ge (2007) e The Transition Period (2010), si intravede.. Sboccierà.
Zelia Zbogar
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