Il palcoscenico, un luogo preciso nello spazio, definito dalla luce e incorniciato dalla sua assenza. Immediato e mutevole, concede un bis, ma non prevede l’identico. E poi lo schermo, il cinema, eterno e sigillato nel ciak e nel montaggio prescelti. Due dimensioni parallele che ci aprono entrambe la porta dei sogni. Carta bianca dei registi e croce e delizia degli attori, che ogni volta li dominano e li temono come se fosse la prima.. o forse l’ultima. Marco Risi ci porta dietro le quinte del mondo dello spettacolo, a partire dallo spogliatoio di una squadra di calcio, l’ItalianAttori, fondata negli anni ’70 da Pier Paolo Pasolini. Tre tocchi intreccia sei storie. Sei vite precarie di attori che lavorano poco, interpretate nella realtà e sullo schermo da Massimiliano Benvenuto, Leandro Amato, Emiliano Ragno, Vincenzo De Michele, Antonio Folletto e Gilles Rocca. Tutti, tra una partita e l’altra, stanno preparando un provino, quello che potrebbe cambiargli la vita. Ma mentre galleggiano in uno stato di tensione-aspettativa continua e di incertezza economica, il fallimento è dietro l’angolo.
Ho incontrato Risi domenica 16 novembre al bar del cinema Beltrade, prima che partecipasse alla proiezione del film. Il tono basso della sua voce mi ha costretta a un piccolo sforzo di concentrazione, ma la chiacchierata è stata lunga..
Come è nato il soggetto del film?
M.R. “Dall’idea di Pasolini, dallo spogliatoio della sua squadra. Io gioco da molto e negli anni me li sono studiati questi attori. Non sono quelli famosi, che tutti conoscono, sono abbastanza disperati. Non lavorano o si arrangiano con impieghi di fortuna, spesso hanno sfiorato il successo, ma poi sono ripiombati nell’anonimato. È successo tutto dopo una partita, quando Leandro mi ha affrontato e ha detto: “Siete tutti uguali voi registi. Scegliete sempre le stesse facce.. Io sono bravo perché non mi fa un provino?” Io ci ho pensato. Non l’ho chiamato per il film che stavo girando, ma ci ho pensato.”
E poi?
M.R. “All’inizio non credevano che avrei fatto un film sulle loro vite e men che meno che lo avrebbero interpretato. Invece ho voluto coinvolgerli a pieno nel progetto, soprattutto in fase di scrittura. Siamo partiti da una ventina di storie per poi sceglierne sei. A sceneggiatura finita ci siamo trovati a casa mia per una lettura e ognuno ha avuto modo di correggere gli elementi che non sentiva. La particolarità è che anche i due co-sceneggiatori, Francesco Frangipane e Riccardo di Terrebruna, e il musicista, Jonis Bascir, fanno parte della squadra di calcio.”
Lei è anche uno dei produttori..
M.R. “Si. ho messo metà del budget, circa 250.000 euro. Volevo fare un film completamente indipendente e riuscirci è stata la soddisfazione più grande. Tre tocchi non poteva dipendere dalle major, è scomodo, atipico, quasi anarchico. Per non parlare del cast semi-sconosciuto. Sapevo a cosa sarei andato incontro. Avevo ero già stato produttore negli anni ’90, con la società Sorpasso. Per quasi un decennio abbiamo fatto esordi interessanti, tra cui Il bagno turco di Ferzan Özpetek e Sole negli occhi di Andrea Porporati.”
Cosa intende per film atipico?
M.R. “Racconta una realtà dolorosa, ma ha molti elementi di finzione più grotteschi e auto-ironici. Lo spettatore ne resta travolto. Anche la narrazione non ha un andamento lineare. È composta da sei differenti storie intrecciate. Però mi piace ricondurle tutte a una sola identità, perché quello che succede a uno potrebbe succedere anche all’altro. Forse avrei potuto concentrarle e scegliere un solo protagonista, ma l’obbiettivo era di dare spazio a diversi attori.”
È così difficile la carriera di attore?
M.R. “Assolutamente. Per uno che sfonda, 1.000 restano nell’anonimato. Non dipende solo dal talento, ci vuole carattere, ci vuole la testa.. Non voglio svelare il film, ma ho cercato di affrontare anche questo problema. Io ho capito questo: il lavoro dell’attore è il più precario al mondo perché dipende solo ed esclusivamente dalla volontà di qualcun altro. I provini sono terrificanti. Puoi essere preparato e perfetto per la parte eppure quel giorno il regista non ti prende. Sei troppo alto, hai l’accento, non sei abbastanza giovane.. tutto e viceversa. È davvero frustrante.”
Mi è sembrato che nel film la figura femminile sia poco considerata. Non crede di aver dato una versione maschilista della realtà?
M.R. “È una versione al maschile, è ben diverso. Svilisce l’uomo, non la donna. Sono loro deboli, egocentrici, vanesi.. Hanno tanti problemi irrisolti. Vincenzo è il personaggio più negativo che reprime la sua rabbia e vive il sesso in modo molto violento. Non è capace di amare altrimenti. C’è una scena molto forte e disturbante, terribile proprio perché veritiera, ma ciò non significa che era meglio tagliarla.”
E il vero Vincenzo è così?
M.R. “No. De Michele mi ha chiesto di poter essere molto duro nel film, poi nella vita è diverso. Ho dato a tutti gli attori la possibilità di lavorare con il proprio personaggio purché mantenessero dei riferimenti assoluti alla loro esistenza. Si tratta pur sempre di un’interpretazione, anzi la più difficile. Per mettere in scena te stesso devi entrare in certi psicologismi e debolezze che magari non vorresti mostrare. Non è una cosa da poco.”
Dopo il Festival Internazionale del Film di Roma e l’uscita in sala cosa si aspetta per il suo film?
M.R. “Il film ha un suo percorso anche se bisogna seguirlo passo dopo passo come un bambino per strada, altrimenti finisce sotto un suv, uno di quei colossi americani di fantascienza [ride]. Se non sei agganciato a una grande distribuzione è molto difficile anche solo far sapere che il film è uscito. Io sto andando dappertutto e per ora Tre tocchi è in 18 sale. Proveremo a uscire in TV e se ci saranno altri festival ben vengano.”
Nella sua carriera ha realizzato film tra loro molto differenti. Quando inizia a vedere un progetto e decide di realizzarlo?
M.R. “Tutto parte da una scena. Si imprime nella mia mente e di solito riesco sempre a girarla, esattamente come l’ho immaginata. Il resto invece si trasforma, si adatta o ancora viene stravolto da un’improvvisazione ben riuscita, da un’intuizione sul set. L’ambiente è importantissimo. L’attore è una figura che si muove all’interno di uno spazio determinante. Lo stesso spazio che definisce i toni e la resa della fotografia.”
Zelia Zbogar
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