Giovedi 29 gennaio uscirà nelle sale italiane l’attesa opera seconda della “Jolie-regista”, Unbroken, trasposizione cinematografica del libro “Sono ancora un uomo”, scritto nel 2010 da Laura Hillenbrand, che racconta la straordinaria e commovente storia dell’atleta olimpico, Louis Zamperini durante gli eventi della Seconda guerra mondiale. Candidato a 3 premi Oscar (miglior fotografia, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro) e selezionato dai National Board of Review e dell’ American Film Institute, come uno dei migliori dieci film dell’anno, Unbroken ha vari meriti, tra cui quello di aver fatto scoprire l’attore Jack O’Connell, che ha conquistato il premio come rivelazione dell’anno ai Chicago Film Critics Association Award e ai New York Film Critics Online Awards. La trama del film ruota attorno alla figura di Louis Silvie “Louie” Zamperini, corridore e soldato che partecipò alle Olimpiadi nel 1936, che caduto prigioniero in Giappone, fu torturato senza pietà dai suoi aguzzini, ma che tornando nel suo paese natale, gli Stati Uniti, seppe “abbracciare” la fede evangelica, riuscendo a trovare il modo per comprendere la grammatica del perdono. Una parabola umana, una storia epica di resistenza e coraggio, che ha il merito di raccontare senza retorica il difficile cammino che porta un uomo dalla sofferenza al perdono, attraverso la metafora dello sport, della competizione agonistica, il cui unico traguardo è da rintracciare nella forza della fede. Per questo messaggio evocativo e ricco di speranza, la critica americana ha “riabilitato” la Jolie-regista, dopo le controverse reazioni al suo primo film, In the Land of Blood and Honey, che nonostante la nomination ai Golden Globe nel 20I2 come miglior film straniero, fu stroncato dalla rivista Variety che lo definì “un tentativo drammaticamente malriuscito di rinnovare la consapevolezza pubblica sul conflitto nei Balcani”. Ma con Unbroken, sono molti a scommettere che la Jolie riserverà nuove ed efficaci prove da regista, riuscendo magari a superare lo scetticismo e il pregiudizio che da tempo è riservato alle donne registe, fatta eccezione per il 2010, anno in cui Kathryn Bigelow vinse l’Oscar per The hurt locker, ma che data la mancata nomination di quest’anno ad Ava Duvernay per il film Selma, fa pensare di essere stato un caso isolato.
Danilo Canzanella
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